Problemi e prospettive di una «città del mondo» – Luglio 2024 – di Severino Saccardi

Problemi e prospettive di una «città del mondo» – Luglio 2024 – di Severino Saccardi

di Severino Saccardi

Sant’ Agostino diceva che «la città non è fatta di torri e mura, ma di cittadini». È tempo di tornare a riflettere sulla cultura della città. Soprattutto adesso, in un’epoca in cui, per la prima volta nella storia, la popolazione urbana supera quella della campagna. La città, che pure è caratterizzata da un’enorme forza attrattiva (lo si vede nel caso delle megalopoli, in cui si accorre a vivere, spesso nel degrado delle sterminate periferie), vive anche la sua crisi. Tornano a porsi, con insistenza e in maniera pressante, interrogativi di fondo sul tema della convivenza, della sicurezza, della sostenibilità, del modello di sviluppo. È all’ordine del giorno, la vitale esigenza di dare vita, con coraggio e creatività, e percorrendo strade nuove, ad una città ecologica.  Sono temi che si pongono, sia pure in maniera differenziata, ad ogni latitudine. Ripensare la città è un’esigenza universale. Se ne era molto parlato, con insistenza, come si ricorderà, anche in occasione della grave emergenza prodotta dalla pandemia. Un’occasione, si diceva da più parti, per procedere al cambiamento di forme e modi del nostro modo di vivere, di abitare, di lavorare. Buoni propositi, di cui sembra essere rimasto ben poco. Eppure, i problemi rimangono. Come affrontarli, dunque?  

Quelle fiaccole a S. Miniato al Monte

E a che punto siamo in quella città così «speciale» che è Firenze? Firenze è stata sede, nel corso del Novecento, di uno straordinario laboratorio politico, culturale e sociale. Basta, in proposito evocare dei nomi: Giorgio la Pira, Ernesto Balducci, Lorenzo Milani, Piero Calamandrei, Giorgio Spini, Ernesto Codignola, Mario Fabiani, Cesare Luporini, Ernesto Ragionieri. Personalità di diversa matrice culturale e di diversa appartenenza che, però, hanno lavorato, in tempi in cui si erigevano muri e barriere, a costruire ponti. Hanno, tutti, ognuno a suo modo, contribuito a dare vita a grandi esperienze di cultura del dialogo. Una memoria e una lezione viva. Che si tratta di riscoprire. Qualcosa di quella lezione deve essere pure rimasto. Era quel che veniva in mente in occasione della partecipatissima fiaccolata a S. Miniato al Monte, convocata dall’abate padre Bernardo (a cui erano presenti anche il rabbino e l’imam di Firenze e a cui hanno partecipato centinaia di credenti e di non credenti), per chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani trattenuti da Hamas e il «cessate il fuoco» a Gaza. È molto importante, soprattutto in momenti così drammatici, che in città continui ad andare avanti il dialogo fra le diverse comunità religiose (cristiani, ebrei, musulmani). Ed è una rilevante e positiva novità che la comunità islamica abbia adesso un suo nuovo luogo di culto. La città, e tutta la nostra Regione, sono ormai un «pluriverso» di culture. Una realtà con cui fare i conti. Bisogna lavorare per garantire e far progredire cultura della convivenza e integrazione fra soggetti differenti che condividano, però, la dimensione della cittadinanza, in spirito di laicità.  È una cornice generale, naturalmente, al cui interno molto c’è da operare nell’ambito delle relazioni umane e negli atti della vita quotidiana. Non mancano i problemi. Negarli o minimizzarli non sarebbe né utile né saggio. 

Un tema controverso e delicato

Un tema controverso e delicato è quello della sicurezza.  È una questione su cui fraintendimenti e luoghi comuni non mancano. Come quello secondo cui la sicurezza sarebbe, di per sé, un «tema di destra». Ma effettivamente «di destra» è solamente l’ideologia «securitaria» che usa strumentalmente, esasperandone o esagerandone la gravità o la portata, temi che comunque hanno una loro rilevanza. Come l’esigenza e il diritto dei comuni cittadini di vivere in pace e tranquillità. Non sempre, purtroppo, questa condizione viene garantita. Anche in una città come Firenze, negli ultimi tempi, episodi, talvolta, inquietanti non sono mancati. Sono presenti, in alcuni ambiti della società, sentimenti di insofferenza e di aggressività, mal contenuti e pronti, in determinate circostanze, a manifestarsi e ad esplodere. E si sono verificati casi incresciosi e drammatici. Come quello del rapimento e della sparizione della piccola Kata, attuato in una situazione evidentemente fuori controllo. È importante, dunque, che problemi di questo tipo vengano affrontati, senza sminuirne la portata. Quella della rimozione è una tentazione da non seguire. Ci sono, dunque, due responsabilità, che vengono inevitabilmente chiamate in causa. Quella dello Stato centrale e del Governo che sul tema-sicurezza (da affrontare seriamente e da non richiamare in modo strumentale) dovrebbero investire di più (garantendo, se possibile, a città come Firenze, un maggior numero di agenti, operativi sul campo) e quella delle istituzioni locali. Le quali dovrebbero intensificare il lavoro anche, e soprattutto, in direzione degli interventi di carattere sociale. Perché è anche intervenendo per promuovere la convivenza e per combattere l’emarginazione (sostenendo le fasce più deboli e più esposte del tessuto sociale) che si contribuisce a garantire la sicurezza per tutti.

 La dignità del lavoro

Pensando a questo, non possiamo non ricordare (pensando alla «questione lavoro») che, nell’area fiorentina, abbiamo la vertenza insoluta della GKN e non possiamo non riandare con la mente alla tragedia di via Mariti. Un dramma che, a partire dall’evidenza delle macerie del cantiere improvvisamente collassato e dal dolore per le vite perdute, riporta alla nostra attenzione (un’ attenzione da mantenere viva), alcune cruciali questioni: quella della sicurezza sui luoghi di lavoro (che lo stillicidio di incidenti fatali ci rimette così frequentemente davanti agli occhi), ma anche quella della regolarità dei contratti e dell’assunzione dei lavoratori oltreché del vero tema-cardine della catena di appalti e subappalti che è difficile, a volte, anche da ricostruire e che è all’origine di non pochi disastri. Le istituzioni competenti sono chiamate, in questo senso, a intensificare i controlli ed a promuovere la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro. Un modo per tutelare la dignità dei lavoratori è anche quello di assicurarsi che essi abbiano un compenso equo. Un principio ribadito, in termini generali, anche nella storica Dichiarazione Universale dei diritti umani (del 10 dicembre 1948), nei cui articoli si fa riferimento solennemente ai diritti civili e politici, ma anche ai fondamentali diritti sociali. Nella nostra specifica situazione mi pare dunque da sostenere la proposta secondo cui non dovrebbero poter ricevere incarichi o commissioni di lavoro da parte del Comune e delle realtà istituzionali quelle imprese che corrispondano ai loro dipendenti un compenso inferiore ad un certo importo considerato come «salario minimo». Una posizione da tenere ferma e da sostenere. Siamo, d’altra parte, come ci è stato insegnato, in una situazione fluida (o «liquida»), in costante cambiamento.  Cambia la società e, con essa, si trasformano e mutano volto, le città. Anche da punto di vista sociale. Ci sono i nuovi lavori e c’è la flessibilità, e spesso la precarietà, del lavoro. Realtà spesso difficili da rappresentare o da cercare di organizzare e, a volte, complesse e sfuggenti anche da analizzare. C’è poi da considerare che a Firenze.  come in tante città d’arte, non pochi sono quelli che vivono, e guadagnano, sul fenomeno (dirompente) del turismo di massa. Un fenomeno ambivalente. Da un certo punto di vista, non si può certo rimpiangere il tempo in cui viaggiare e contemplare le bellezze, e i patrimoni artistici del mondo, era appannaggio di una ristretta cerchia di privilegiati. E poi è innegabile che il turismo sia (almeno per una parte della città) una risorsa e una fonte di guadagno. Come è fin troppo evidente. Basta pensare, in negativo, al disorientamento e alla crisi di ordine materiale che, per gli operatori del settore, ha rappresentato la chiusura alle frontiere (con il conseguente stop ai viaggi) durante la pandemia. Chi non ricorda le immagini di quella città silenziosa e vuota? Ora tutto sembra tornato alla «normalità». Ma è una «normalità» sana, su cui niente c’è da eccepire? Generalmente, si preferisce eludere la domanda. Ma i problemi vengono, da soli, in evidenza. Nel periodo di massimo afflusso di visite e di soggiorni di carattere turistico (sia per soggiorni, più o meno brevi, sia per le, sempre più numerose incursioni «mordi e fuggi»), per giorni e giorni, è come se la popolazione della città raddoppiasse di numero. Il che garantisce guadagni per certi settori del terziario, ma comporta anche un carico notevole da superare per l’insieme della cittadinanza e per la pubblica amministrazione. Dalla gestione dell’aumento conseguente dei rifiuti, al confronto con la fruibilità (problematica, in certi periodi) dei servizi e dei trasporti pubblici: si pensi alla tanto dibattuta, e mai risolta, questione, della cronica carenza di taxi, che diventano inaccessibili per i cittadini comuni. 

Case per i turisti?

Gli effetti collaterali dell’impatto del turismo di massa sono molteplici. A partire dalla distorsione che questa sorta di consumo compulsivo del «bene città» induce e produce sulla «questione case». A Firenze, come in tante altre città d’arte, case e appartamenti vuoti e disponibili ci sono, eccome. Ma è come se ne venisse distorta, nella sostanza, la «destinazione di uso». Vengono, cioè, usati e messi a disposizione per affitti brevi e brevissimi È un qualcosa che, in certi quartieri, e in tanti ambiti del centro storico, cambia la natura, il modo di essere, il panorama delle relazioni (o non relazioni) umane e che crea anche, in non poche occasioni, anche elementi di disagio. Con gli abitanti e i residenti che si sentono un po’ fuori posto a casa loro, nei loro quartieri e nella loro città. È un nodo che va affrontato. La proposta di assumere misure che tendano a limitare la possibilità di ricorrere estesamente alla forma dell’affitto breve o brevissimo mi pare che vada nella direzione giusta. Sulla questione delle abitazioni, in una città come Firenze, molto ci sarebbe da dire e da scrivere. Qui è il caso di limitarsi a brevi accenni. Molti fiorentini (come, in genere, molti italiani) sono proprietari della casa in cui abitano (magari acquistata a costo di sacrifici, pagando mutui e investendoci i risparmi di una vita). Ma per chi la casa di proprietà non ce l’ha, per chi in questa città vuol venire a stare, a vivere, a studiare, a lavorare, la situazione appare scoraggiante. Affitti alti, prezzi delle case in vendita che scoraggiano chi aspira ad avere l’abitazione di proprietà. Ci sono città bellissime (e uniche al mondo) che, per una dinamica di questo tipo, si stanno svuotando, tristemente, sempre più, di abitanti (il caso Venezia è da manuale) per rifugiarsi nell’hinterland o in città di provincia, dove il costo della vita è un po’ più abbordabile e sopportabile. Anche qui, il ruolo della politica e delle istituzioni può essere importante. In questo periodo, si è tornati a parlare di un «Piano casa». Naturalmente si tratta di passare dalle parole ai fatti e di verificarne modalità, sostanza e tempi di attuazione. Se si concretizzasse e fosse decisamente portato avanti, rappresenterebbe un positivo e significativo elemento di novità. C’è bisogno di dare un respiro nuovo alla città. Firenze ha un’immagine che parla al mondo intero, ma bisogna evitare che questa immagine venga distorta, fraintesa, rimpicciolita e deformata nel tempo insidioso delle «città-Disneyland».  C’ è un deposito di esperienza storica e di cultura che, in un serrato confronto con le sfide della contemporaneità, merita di essere ripreso e valorizzato, con lo sguardo rivolto al domani. È quanto viene ricordato, in una serie di eventi significativi, in questo anno in cui ricorre il centenario dell’istituzione ufficiale dell’Università di Firenze. L’Università di una città-simbolo che ha un ruolo importante da svolgere nel suo lavoro di inclusione, di formazione e di maturazione umana, culturale e sociale delle giovani generazioni dei cittadini (di antica o nuovissima residenza). 

Una città-crocevia

Firenze è città-crocevia. Era l’intuizione di La Pira che, a partire da questa convinzione, convocava qui gli storici convegni per la pace con sindaci delle città e rappresentanti del mondo intero. Firenze ha mostrato di saper risorgere e di sapersi risollevare nei momenti più difficili oscuri. Come successe dopo la grande alluvione del 1966. Fu un momento di straordinaria coesione, in cui lo sforzo tenace e lo spirito di reciproca solidarietà dei cittadini (di ogni appartenenza e fede, religiosa o politica) furono supportati anche dal sollecito aiuto di «angeli del fango» provenienti da ogni parte dell’Italia e del Pianeta. E non ci fu Paese straniero, anche tra quelli molto poveri, che non manifestasse, in qualche modo, solidarietà alla città così duramente colpita. Firenze, questo fu ben compreso allora, è un deposito di arte, cultura e storia che è caro all’umanità intera. E forse, in tempi di grande incertezza come quelli che ci è dato vivere, è proprio attingendo alla lezione di fondo che viene dal meglio della sua storia che Firenze può guardare fiduciosamente al domani, nel mentre riscopre, in senso alto, la sua vocazione, la sua ispirazione e natura di «città del mondo»

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