PASQUA 2016

PASQUA 2016

PASQUA 2016

 

…Questa realtà della Pasqua noi dobbiamo proporla con forza. E saremo costretti a farlo nella misura stessa in cui quelli che sono i relitti delle tradizioni religiose, saranno dissolti e noi rimarremo con davanti agli occhi nessun segno sacro della realtà di Gesù e avremo la necessità di riscoprirla nella sua misteriosa presenza. Se vi dicono: Cristo è qui, è là, non ci credete, Egli disse prima di lasciarci. Perché il Cristo si vede ovunque, ma non è in nessun posto in modo limitativo. Ecco allora il problema che oggi mi sollecita, anche per ragioni di esperienze comuni che stiamo vivendo. In un tempo di tale disgregazione in cui non solo la nostra realtà sociologica di credenti sembra abbandonata ormai alla deriva, ma la stessa società tradizionale nei suoi rapporti costitutivi sembra colpita da necrosi, e la ferocia ci invade ed occupa quotidianamente le cronache pubbliche come fatto più importante, in un tempo simile che senso ha parlare di Gesù risorto? È una soddisfazione privata? È un modo con cui – in un tempo di ferocia – ci creiamo il giardino delle idilliache soddisfazioni che ci consentono, almeno la domenica, di assentarci dalla competizione feriale? Che cos’è la nostra fede? Un’isola? un convento? un giardino segregato? Se così fosse saremmo già fuori del mistero del Cristo. Il quale, non ci dimentichiamo, ha vissuto una passione pubblica (è stato ucciso e condannato, come ci ricorda la Scrittura di oggi, pubblicamente, secondo la Legge) ed è risorto dando testimonianza di Sé a coloro che Dio aveva prescelto perché fossero gli araldi del grande evento. Cioè il Gesù della Resurrezione non è un idolo per una setta; i suoi eventi toccano le nervature della storia; sono, di loro natura, pubblici, universali; e perciò il suo mistero si racconta sulle pagine dell’esperienza pubblica e collettiva. La religione (la chiamerò così per quanto il termine perde già di legittimità) che ci lega al Cristo, non è una religione settoriale, che sta accanto alle nostre occupazioni profane, per darci, poi, un complemento che riguarda la vita dell’al di là. La fede in Cristo coinvolge la totalità dei nostri rapporti. Ebbene, come troverò io il modo di vivere questa fede in un tempo come questo? Più volte abbiamo fatto riferimento, nelle nostre riflessioni domenicali, ad alcune emergenze umane sia individuali che collettive, in cui è possibile cogliere – secondo quel nesso che è «il genio del cristianesimo» – delle possibilità concrete di verificare la nostra fede cristiana e di proporla. Non già con messaggi altisonanti, non già con riti religiosi collettivi, ma attraverso i tramiti stessi dell’essere uomini; attraverso i modi stessi del nostro partecipare all’opera comune della costruzione di una città meno disumana di questa. Io credo che il primo riflesso di questa fede nel Gesù della Resurrezione, è la passione per la vita, il discernimento delle forze della vita in mezzo alla civiltà della morte. Sempre di più questo compito si fa pressante. […] Il discernimento della vita non è una passione qualsiasi per la difesa della vita ecologica o biologica. Può essere anche questo ma dobbiamo stare attenti a non portare su di noi il peso di un passato in cui eravamo come appiattiti nella logica delle cosi dette leggi naturali, che poi non si sa mai che cosa siano. La passione per la vita è una passione promotrice, una passione che discerne i valori. E intanto mira a rompere quel nodo che strozza la vita a dimensioni collettive: la subordinazione dell’uomo alla logica dell’avere, del possesso, del produrre. È un luogo comune ma i luoghi comuni nascondono spesso una intuizione collettiva. In questo caso la intuizione rende la coscienza impaziente ed a volte furiosa! Nelle stesse ondate giovanili che mettono a soqquadro il nostro ordine, dobbiamo riconoscere con occhio intuitivo, la passione delusa per una società in cui vivere sia possibile. I cristiani invece di fare le loro reiterazioni religiose, le loro retoriche di circostanza, si impegnino in questa costruzione di una società in cui la vita sia al primo posto. È importante che ciascuno di noi, nella diversità delle sue collocazioni, ricerchi, secondo questo criterio, il senso della propria professione…

 

Ernesto Balducci – da “Il mandorlo e il fuoco” vol. 3^ anno C (1976/77)

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