CURARE IL TESSUTO – Luglio 2024 – di FABRIZIO ROSSI PRODI

CURARE IL TESSUTO – Luglio 2024 – di FABRIZIO ROSSI PRODI

di FABRIZIO ROSSI PRODI

La nostra prospettiva è una città che non cresce, perché la demografia mostra contrazione per una cittadinanza che si allontana, invecchia, viene via via sostituita da nuclei di immigrazione cui occorrerà guardare con strategie di inclusione. Anche l’economia segue la medesima parabola, in realtà nazionale, e mostra modeste prospettive. Il centro regolatore dell’urbanistica, l’amministrazione, soffre della crescente fragilità di tutte le intermediazioni, stretta fra scarse risorse ed efficacia, e la tentazione di compiacere nel breve termine gli elettori, distratti e scontenti. 

L’urbanistica era nata per strutturare e gestire la crescita vigorosa delle città, nel passaggio alla società industriale. Non rimane molto dei suoi fondamenti: le risorse stanno altrove, le richieste sono frammentarie ed eterogenee, le sopravvive un’attrezzatura burocratica. Se non può occuparsi delle infrastrutture, insegue la gestione di progetti per aree e parti di città.

Dunque non è tempo di grandi disegni e progressivi scenari. E’ il tempo della microurbanistica, nel piccolo si cerca di fare scelte grandi: alcuni piani di settore, interventi puntuali e un po’ di rigenerazione. 

Cosa muove gli scenari futuri? Certamente le tecnologie, modificate o addirittura inventate dall’Intelligenza Artificiale, le nuove fonti energetiche, il maggior rispetto per l’ambiente, l’invecchiamento della popolazione, i danni della società dell’1%, l’emergere delle multiculturalità col loro fabbisogno di integrazione e inclusione, la gestione dell’aggressione turistica. Tutto richiede un continuo adattamento, non delle rivoluzioni. E la microurbanistica insegue, proponendo operazioni di rilettura/riscrittura filologica del tessuto urbano. 

Per i cambiamenti climatici propone più alberi, depaving, biodiversità, un miglior regime delle acque, strategie di zerocarbon, più trasporti pubblici; altre proposte mirano all’inclusione, diffondendo il mix funzionale e generazionale, l‘integrazione socio-culturale, un policentrismo di commercio, servizi, tempo libero e cultura, sempre più sharing invece di proprietà privata, micrologistica, più servizi e meno proprietà dei beni, il tutto aiutato anche dalle nuove travolgenti frontiere dell’Intelligenza Artificiale, che promette di gestire e ottimizzare i trasporti e il traffico, i servizi, le iniziative sociali, il tempo libero, i consumi,  disegnando una smart city in cui la digital twin potrebbe (nella sua control room) diventare il futuro (non troppo remoto) sostituto dell’urbanistica.

Firenze avrebbe un potenziale di attrazione formidabile per il suo nome e per i suoi tesori, in un mondo in cui è sempre più diffuso il lavoro da remoto. In realtà attrae soprattutto troppi turisti, alcuni molto benestanti. Ma non riesce ad attrarre imprese e giovani, che sono la vera forza viva di qualsiasi città proiettata nel tempo avvenire, anche per contrastare il suo invecchiamento e il suo spopolamento. Per attrarre, non si tratta dunque di realizzare le grandi infrastrutture, già esistono o sono programmate, ma di creare piattaforme che potenzino il mondo della ricerca e della produzione, del sapere e del saper fare, magari seguendo un modello che da noi fatica, ma funziona in altri paesi, legando tre vettori: il mondo della ricerca (in genere l’università), il mondo della produzione avanzata e la volontà pubblica che, con l’amministrazione, potrebbe connetterle e guidarle. Sembra semplice, ma in Italia non lo è. L’urbanistica dovrebbe solo accompagnare e agevolare questi processi, che sono politici ed economici, come è sempre stato. Qualcosa è stato fatto, lodevolmente, qualche incubatore, qualche centro di ricerca, ma occorre ammettere che la città si mostra distratta se non refrattaria, e invece occorrono gli istituti, i ruoli e le piattaforme per favorire questi processi. 

Le scelte più grandi, sulle infrastrutture, in verità si giocano a una scala maggiore, non quella di Firenze – il cui comune ha ormai esaurito il proprio territorio – agendo in un ambito di città metropolitana e anche di Regione.

Nel frattempo il centro storico della città è perduto, è diventato un parco turistico, abitarvi è poco pratico, solo poche categorie vi si adattano, riportarvi gli abitanti è lodevole ma improbabile, possono essere introdotte solo azioni di mitigazione. Invece è possibile accrescere la qualità, continuando a concentrarsi su quella ricca rete policentrica di microcentri urbani che sorgono sparsi per la città, quelli dei 5-15 minuti a piedi. Si potrà mantenere e rafforzare i loro centri commerciali naturali, anche per la sicurezza perché garantiscono “eyes on the street” e vivacizzano la scena sociale, dotarli di luoghi di lavoro, servizi, attrattive culturali, tempo libero e spazi verdi e sportivi, sviluppare la rigenerazione dei loro luoghi e delle strutture, introdurvi delle architetture contemporanee. 

In questi ambiti locali occorre ancora concentrarsi sullo spazio pubblico, che innesca il vero valore dei luoghi, sviluppando un’attenta mappatura da microurbanistica di poli attrattivi, aree, centri di attività, variati nel tempo e per le diverse generazioni, flussi, arricchirne gli spazi intermedi, articolarne i domini spaziali e anche introdurre figure innovative come il gestore sociale di specifici luoghi pubblici condivisi. Tutto questo può tradursi in maggiore qualità dello spazio urbano e della vita quotidiana in città, con buone conseguenze sulla sua attrattività. 

Per i collegamenti, attesi i benefici che deriveranno dal completamento della rete tramviaria, occorre offrire sempre più servizi che possano sollevare dalla proprietà dell’auto, proporrei di adottare lo slogan “un’auto in meno, un albero in più”, favorendo la mobilità dolce, soprattutto lo sharing e la condivisione dei mezzi (oggi agevolato ancora di più dall’Intelligenza Artificiale), anche delle automobili che, inutilmente giacciono in masse enormi, immobili, occupando il nostro spazio pubblico e che dovrebbero essere drasticamente ridotte: uno spreco di risorse e di opportunità incredibile! E potrebbero sorgere tante vie alberate, tante attività in strada…

Il patrimonio abitativo va rinnovato e in più richiede più alloggi a prezzo sostenibile per le categorie che vorremmo attrarre a Firenze e che rappresentano il futuro, ma anche per quelle svantaggiate, anche per i gruppi immigrati, per gli studenti, per il senior housing o anche il cohousing. L’abitare richiede un cambiamento di strategia: l’alloggio non è più un bene ma un servizio e qui occorrono nuovi istituti, meglio mutualistici che speculativi, e nuove figure e nuovi ruoli, come quello del gestore sociale per le comunità insediate, o del mediatore culturale, per gestire le diversità di cultura, fede, formazione ecc., perché gli apporti di popolazione possano essere integrati senza trasformarsi in rancore o insicurezza.

Il tessuto va dunque letto e riletto, va curato e trasformato come un corpo vivo (del resto è la nostra tradizione umanistica), ma non solo in base alle discipline tradizionali dell’economia, sociologia, statistica, ingegneria, ecc., ma anche attuando una maggiore progettualità centrata sui vuoti, più che sui pieni, sulle loro sagome spaziali, sulla presenza di elementi di attrattività, sulla diversità, sul rispetto dell’ambiente e sulla scala delle previsioni, che abbiamo imparato essere a dimensione di uomo, non grandi. La ricchezza variata dello spazio pubblico è il valore che genera qualità della vita.

L’urbanistica ha una sua disciplinarità e una strumentazione formale amministrativa, spesso classificatoria un po’ rigida e processuale, che richiede un aggiornamento. In questo scenario di microcambiamenti, rigenerazioni, scelte che spesso sono di comportamenti più che di manufatti, di vuoti, più che di pieni, occorrono strumenti urbanistici che rendano possibili le trasformazioni in tempi ragionevoli nell’attuazione delle volontà collettive, che favoriscano le rigenerazioni, il mix di funzioni o anche l’indifferenza funzionale e il potenziamento dell’attrattività dei luoghi. Non è facile.

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