22 Dicembre 2024, 4° Domenica Avvento
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Prima Lettura Dal libro del profeta Michea Mic 5, 1-4
Salmo 79
Seconda Lettura Dalla lettera agli Ebrei Eb 10. 5-10
Vangelo Dal Vangelo secondo Luca Lc 1, 39-48
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Potremmo disporre i tre brani che abbiamo ascoltato secondo un ordine che ce
ne permetta una lettura molto illuminante sul senso specifico che ha la salvezza
cristiana. Il primo brano potremmo chiamarlo «il prologo in cielo»: è il brano in
cui Cristo dice al Padre: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta ma un corpo
mi hai preparato: ecco, io vengo per fare la tua volontà».
Questo evento di salvezza, che si svolge al di la del sensibile, è il preludio dì
un altro evento invece, è all’opposto della solennità arcana del primo: due donne
incinte si incontrano e la pin anziana sente esultare nel suo grembo il figlio: è
«il prologo in terra». Questo saluto fra le due donne è un episodio di
semplicità estrema che mi permette anch’esso di leggere in chiave autentica la
salvezza cristiana Il terzo brano è del profeta Michea il quale dedica i primi
capitoli del suo libro a una vigorosa condanna delle ingiustizie sociali, dello
sfruttamento che i sacerdoti compiono sul popolo, e preannuncia il castigo di
Dio: verranno i nemici, devasteranno il tempio, la città e porteranno in esilio tutti
gli abitanti di Gerusalemme; ma Dio si sceglierà un resto, un residuo, con il quale
compirà la salvezza, ristabilirà la pace.
Il discorso della Lettera agli Ebrei sul corpo di Cristo ci rimanda a quel momento
della storia di Gesù di Nazareth in cui i suoi discepoli videro quel corpo appeso a
un legno in mezzo a due corpi di delinquenti, nell’abominio estremo. Gli stessi
discepoli contemplarono nelle Apparizioni la gloria del Risorto. Solo allora
capirono il discorso del Padre, solo quando, per una manifestazione straordinaria,
constatarono che in quel Gesù che avevano seguito, abitava la pienezza della
divinità. Da quel momento la convinzione sulla divinità di Gesù si allarga e si
approfondisce nella comunità cristiana.
Proprio in questi mesi due episodi dolorosi di inquisizione sulla teologia hanno
portato all’attualità il discorso sulla divinità di Gesù. Il discorso sulla divinità di
Gesù se noi lo facciamo in regola con la esegesi scritturistica, non può esser fatto
— credo alla maniera tradizionale, ma deve partire — liberandosi da tutto ciò che
la tradizione religiosa, derivata da fonti non scritturistiche, ma filosofiche aveva
accumulato — dall’oggettività della Parola evangelica secondo cui Gesù è nel
mondo come uomo. Non in apparenza, ma realmente come uomo. Cresce attraverso
i rischi e le tentazioni come ogni uomo e arriva alla suprema obbedienza della
Croce, con il sudore di sangue del Getsemani non vivendo a due livelli quell’evento
(uno umano in cui domina lo spavento, uno divino in cui domina la sicurezza) ma
entrandoci come ognuno di noi ci sarebbe entrato, con tutto lo sgomento e però con
tutta l’obbedienza alla volontà del Padre. La sua morte è l’epilogo tragico e mirabile
di questa obbedienza. Ed è con la sua morte che Dio lo glorifica, come dice il
Vangelo di Giovanni. E da quella estrema abiezione, come da un seme sotto terra,
che sboccia la straordinaria primavera del Regno di Dio. Questo mistero
dell’annientamento di Dio in Cristo, noi lo abbiamo violentato facendo dell’umanità
del Cristo una specie di umanità apparente, non autentica e non integrale. Io penso
che lo sforzo attuale di ritrovare innanzi tutto il Gesù uomo, totalmente uomo,
obbediscono davvero ai moti dello Spirito Santo. Le conseguenze di questa
riscoperta dell’umanità di Gesù (non di questa diminuzione di Gesù!) sono
immense. Sviluppatene le implicazioni: sono proprio le implicazioni che spesso
fanno paura.
Da “Il Vangelo della pace” vol.3 anno C