1 novembre 2024, Tutti i Santi
1 novembre 2024, Tutti i Santi
Prima Lettura Dall’Apocalisse di San Giovanni Apostolo Gv 7, 2-4, 9-14
Salmo 23
Seconda Lettura Dalla prima lettera di San Giovanni apostolo, 1Gv 3, 1-3
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 5, 1-12
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Ogni anno, quando ci troviamo n questa singolare congiuntura liturgica in cui si
mescolano le celebrazioni rituali dei santi e le celebrazioni tradizionali dei defunti,
scopro una possibilità, davvero singolare ed utile, di scendere, con la nostra
riflessione, a quel punto di congiuntura tra la nostra esperienza di vita (quella che è
sotto i nostri occhi, quella che riusciamo a circoscrivere nella memoria e
nell’attesa) e la condizione non verificabile che ci è stata manifestata attraverso
simboli per noi spesso così lontani come quelli della liturgia celeste dell’Apocalisse.
La memoria dei defunti ci mette dinanzi ad una condizione di comunione effettiva
fra tutti gli uomini. Le differenze sono tutte annullate in quel punto in cui l’uomo si
incontra con il suo non-essere: che sono le culture? che sono le razze? che sono le
stesse religioni di fronte al segno di un tumulo, all’immagine della morte? Tutto
sembra negato ed appianato in una stessa identità. Siamo vanità e vanità delle
vanità. In questa condizione, che è quanto meno la prima verità che ci dobbiamo
dire (secondo alcuni è l’ultima) è possibile, confrontandoci con i messaggi che
abbiamo ascoltato appena ora, sviluppare quel filo di speranza a cui allude l’ultimo
versetto della lettera di Giovanni: «chiunque ha questa speranza in Lui.. ». Se è
possibile muoverci da questa quota zero dove ci siamo situati, è possibile solo nella
speranza. Ma da questo luogo è possibile dare anche uno sguardo a quelli che noi
chiamiamo santi, senza abbandonarci a facili immaginazioni, o scendere in noi per
riconoscere che in realtà noi siamo ignoti a noi stessi, che la nostra totalità non si
risolve nelle dimensioni spazio-temporali. C’è nell’uomo un «uomo nascosto
all’uomo». Per quanto noi ci sforziamo, come è negli impulsi di fondo della nostra
ragione, di tutto ricondurre a ciò che è chiaro e distinto, qualcosa ci sfugge sempre:
forse la nostra verità è nel nascondimento. Questa percezione, dell’uomo nascosto
che, nella cultura più qualificata e più attendibile, è stata modulata in mille note,
riflette una condizione che sperimentiamo. Non c’è evoluzione nel tempo, non c’è
crescita di razionalità scientifica che riesca a tagliar via questo stupendo e
miserevole residuo che portiamo in noi e che non trova voce se non nella speranza.
Forse la santità è proprio lì, in noi, come un seme in una zolla. Non ha parola, non
si esprime, cresce faticosamente per poi magari scomparire, ma quando noi
parliamo di santità, al di fuori dei moduli codificati, sentiamo che qualcosa
risponde nel nostro intimo.
E possiamo finalmente guardare — come ci invita a fare la liturgia di oggi,
attraverso una fastosa simbologia — nei cieli dove una porzione eletta, che ha
attraversato la «grande tribolazione» vive nella gloria. Penso che si possa
rapidamente percorrere questo itinerario, cercando di dire parole non vane ma
conformi al magistero dello spirito interiore e all’insegnamento che ci viene dal
messaggio di fede.
Da “Il Vangelo della pace” vol.2 anno B