6 ottobre 2024, 27° Domenica T.O.

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6 Ottobre 2024, 27a Domenica T.O.

Prima Lettura Dal libro della Genesi Gn 2, 18-24
Salmo 127
Seconda Lettura Dalla lettera agli Ebrei, Eb 2, 9-11

 

Dal Vangelo secondo Marco Mc 10, 2-16

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Questi brani, specie quello della Genesi e quello di Marco, ci ripropongono
con forza, un problema che tante volte abbiamo direttamente o indirettamente
— affermato: quello del rapporto tra l’annuncio di Dio nella Scrittura e le
forme culturali in cui questo annuncio è stato trascritto e tramandato. Questo
problema non era stato sentito fino a quando — ed è questione degli ultimi
decenni non è sopravvenuto un mutamento culturale, ancora in corso — e in
corso in forma caotica che ha già messo fuori legittimità morale tante forme
della cultura che per millenni erano rimaste pressoché invariate. Nel passato ci

era piuttosto facile assumere i modelli culturali contenuti nel Vangelo e nella
tradizione, come se essi fossero una sola cosa con il disegno di Dio, perché
vivevamo dentro una cultura omogenea che nella sua durata non aveva subito
apparentemente — fratture e non era stata sottoposta ai terribili confronti
che oggi dobbiamo affrontare. Oggi noi sentiamo e chi non sente questo, vive,
se ne accorga o meno, ai margini della realtà della storia tutto lo spessore della
relatività del mondo da cui proveniamo; per cui le parole, che pur son rimaste
le stesse, rimbalzano nella nostra coscienza in modo diverso. Il matrimonio, la
famiglia, l’amore, l’uomo, la donna, sono termini di sempre: però ci
sbaglieremmo se non conoscessimo che non solo per malizia umana ma per
nutamento storico questi termini non dicono più la stessa cosa. Alludono
ormai — questi termini — a una realtà che si è trasformata, e questa
intercapedine fra la realtà che è diversa dal passato e le parole che sono le
stesse, costituisce un vuoto logico, un vuoto di pensiero, un vuoto di
normativa, in cui tutto può avvenire: l’arbitrio, la disgregazione,
l’invenzione. Se non prendiamo atto — è mia opinione — di questo spazio,
che rende non più utilizzabili alcuni modelli, noi rischiamo — pur nelle
intenzioni più generose e più oneste — di commettere molti guai, proprio a
causa della nostra coerenza. Coerenza a che? — mi domando sempre — e a
chi? Se c’è una verità del Vangelo che non soffre in sé corrosioni è proprio
questa: ogni legge è per l’uomo, quindi il mio primo dovere sempre è di
mettermi in sintonia con ciò che l’uomo ha di più legittimo, con le sue attese
più serie, più profonde, non coi suoi modi superficiali o con i suoi bisogni
indotti da una società che lo corrompe e lo manipola o lo schiaccia. Tra i
bisogni umani ce ne sono che sono la rifrazione di una società disumanizzata
ma ce ne sono che emergono dalle più profonde polle sorgive in cui si fa
perpetua la creazione di Dio, che si offrono alla mia coscienza come gridi,
come richieste non eludibili.
Detto questo io mi devo interrogare se per caso e molti pensano così — il
Vangelo, anzi la Scrittura in genere non debba essere rimessa sotto questione.
Non in ciò che essa ha di verità salvifica. Il Concilio, in un momento forte del
suo dibattito (quando molti teologi e vescovi volevano attribuire il valore di
Parola di Dio ad ogni sillaba della Sacra Scrittura, passando sopra con molta
superficialità agli scandali storici, come quello di Galileo) decise di affermare
che la verità della Scrittura è una verità di salvezza, non è dunque una verità
scientifica: è una verità salvifica.

Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

/ la_parola