1 Settembre 2024, 22° Domenica T.O.

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Prima Lettura Dal libro del Deuteronomio Dt 4, 1-2, 6-8
Salmo 14
Seconda Lettura Dalla lettera di San Giacomo apostolo, Gc 1, 17-18, 21-28

Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,1-8.14-15.21-23

 

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La Parola del Signore è eterna: può sembrare ridicola dentro la
sapienza provvisoria di un dato momento storico, ma quella sapienza
diventerà confusione e vergogna dopo pochi anni, e la Parola
riemergerà, come unica possibilità di salvezza, anche storica,
dell’uomo. Importante è ristabilire il giusto rapporto tra la coscienza e

la Parola. È un momento che io tocco appena, perché è pieno di
implicazioni anche rischiose e forti per la nostra esperienza umana e
cristiana. Mi è venuta sulle labbra la parola « umana ». È bene che
renda conto di questa sfumatura delicata e profonda della Lettera di
Giacomo, in cui è detto che noi siamo come le primizie delle creature
di Dio, che cioè il nostro compito non è quello di rappresentare in
pieno l’intenzione di Dio, perché ogni creatura ha la luce di Dio; ogni
creatura trova Dio nella sua coscienza. Noi che abbiamo ascoltato la
Parola abbiamo il compito di essere come le primizie, come le
anticipazioni di una fioritura che poi seguirà. E questa ricchezza
viene dal fatto — e solo da questo fatto che in noi è stata seminata la
Parola.
L’esaltazione della coscienza può anche portare in sé un vizio di
individualismo impenitente. Che vuol dire la coscienza, in certi
momenti? La fedeltà dell’uomo a se stesso, assunto nella sua astratta
individualità, può diventare funesta. Quanti fanatici sono fanatici per
fedeltà alla coscienza! Ma la Parola di Dio ci dice chiaro che la
coscienza ha una istanza a cui confrontarsi: ed è l’uomo. Gli orfani e
le vedove, categorie sociali allora preoccupanti, simbolizzano tutti gli
emarginati di tutti i tempi. Il punto oggettivo di riferimento, non sarà
la legge, no, ma l’uomo vivente, l’uomo che soffre e che porta sulle
spalle il giogo della legge. Ecco perché un cristiano non può essere
che un contestatore della legge. Se amo l’uomo — ma non l’uomo
ricco, che ci pensa da sé, anzi ci pensano le leggi che sono a suo
favore; non l’uomo di cultura, che se la sa sempre cavare, — ma
l’uomo non conta, il povero inerme; se io, in nome della Parola
seminata in me, do la mia vita al suo servizio, ditemi se non devo, già
per questo, essere un critico impenitente delle leggi. Io voglio sapere
perché queste leggi mettono in carcere i poveri e scarcerano i potenti:
lo devo sapere, mi preme, mi sta a cuore. Devo sapere perché questa
società che si vanta di aver raggiunto alti livelli di democrazia in
realtà, sotto il velo formale della democrazia, continua a emarginare i
più deboli, ad accantonarli, a istituzionalizzarne l’isolamento. Devo
saperlo. Questa mia passione per l’uomo non è uscir fuori dal
Vangelo, come qualche spiritualista teme; è prendere sul serio il
Vangelo nelle sue due istanze fondamentali: la coscienza in cui la
Parola è seminata e l’uomo vivo.

Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

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