9 Giugno 2024, X Domenica T.O.

9 Giugno 2024, X Domenica T.O.

9 Giugno 2024, 10a Domenica T.O.

Prima Lettura Dal libro della Genesi Gn 3, 9-15
Salmo 129
Dalla seconda lettera di San Paolo ai Corinzi, 2Cor 4, 13-5, 1

Dal Vangelo secondo Marco Mc 3, 20-35

 

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Questa è la rivelazione di Gesù Cristo. Il regno di non è onnipotente, anzi il regno di
Satana è già vinto. Gesù apre la sua vita messianica affrontando Satana nel deserto. In
quella colluttazione che si risolve con una vittoria di Gesù, noi abbiamo prefigurata la
nostra condizione storica: noi dobbiamo rinunciare alla logica di Satana che è, come
ricorderete, per rifarmi alla pagina esemplare dei Sinottici sulle tentazione del deserto, la
logica del pane materiale al di sopra di quello spirituale, è la logica della religione come
sicurezza superstiziosa nell’aiuto di Dio a scapito della responsabilità umana, ed è la
logica del potere che assicura il dominio sui regni del mondo, a costo di fare dell’uomo un
servo, uno strumento dei poteri di questo mondo, di Satana cioè, e di sottrarlo alla
liberante adorazione di dio. La risposta che Gesù ci propone, e che è così stupendamente
e delicatamente espressa nell’ultima parte del brano evangelico, è che chi fa la volontà del
Padre che è nei cieli, costui è fratello, sorella, madre di Gesù Cristo, cioè diventa
consanguineo a colui che nella sua vita e nella sua morte si è posto contro il regno di
Satana. E con quale forza si è posto contro? Con l’amore responsabile. Non con un amore
che sia semplice attrazione, impeto sentimentale, ma con un amore che è progetto
liberamente deliberato e praticato, a costo di affrontare anche la morte. Il regno di Gesù
non è il regno della necessità, è il regno della libertà. Che questo regno della libertà sia
fragile in questo mondo lo sappiamo: il credente non è un fatuo ottimista. Quando
pensiamo agli sviluppi che può avere la società se continua ad abbandonarsi al suo slancio
tecnologico, impersonale, oppressivo, che penetra con la sua meccanica soffocante
perfino i segreti delle coscienze, ci viene il timore. Ma credere vuol dire appunto questo:
esser certi che sono beati coloro che non si affidano a questo potere che cresce sulla
diminuzione della responsabilità morale che in tanto è forte in quanto gli uomini abdicano
alla loro libertà. Credere nel Regno di Dio vuol dire credere nell’altra possibilità. Perciò
Gesù è il capostipite e il modello di questa nuova forma di esistenza. Allora c’è, sì, un
dualismo nuovo, che non è quello fra i due princìpi supremi, è un dualismo che sta dentro
di noi, tra l’uomo vecchio e l’uomo nuovo, Certo, noi siamo, in parte, come dice Paolo,
l’uomo vecchio destinato a perire, l’uomo vecchio che deperisce e si sgretola. Siamo per
gran parte dentro il mondo della necessità. La malattia, l’età che avanza, i
condizionamenti fisici e psicologici sono tanta parte di noi stessi e tutto questo se ne va e
noi ce ne andiamo con tutto questo. La nostra morte, vorrei dire, è l’ultimo scotto che noi
paghiamo al regno della necessità. Ma dentro quest’uomo vecchio (ecco la nostra fede) c’è
un uomo nuovo, quello che la fede nella Parola di Dio ha fatto nascere come per nuova
germinazione. Quest’uomo nuovo si sviluppa nella misura in cui le nostre libere scelte ci
fanno conformi alla volontà del Padre. Allora diventiamo come madri di Gesù Cristo: è
mia madre chiunque fa la volontà del Padre. Allora in noi cresce,
come per gestazione lunga, una figura nuova di umanità, quella figura nuova che ora è nel
mistero, nascosta, come il bambino appena concepito è nascosto nel seno materno, e si
rivelerà nel giorno del Signore. Perciò noi siamo liberi, non abbiamo alle spalle nessuna
onnipotenza che ci schiaccia. Tocca a noi determinare il futuro del mondo e il futuro
nostro personale. È in questa scelta, netta come il sì sì dinanzi al no no, che noi ci
manifestiamo insigniti di quel potere regale che è una partecipazione alla regalità di Gesù
Cristo, finalmente liberato da morte nella Resurrezione. È Cristo l’uomo forte, che
sconfigge il regno di Satana. Chiunque crede alla Parola di Cristo e la mette in pratica
partecipa alla sua forza e si libera in certa misura e finalmente in misura totale dalle
catene della necessità in cui ancora gemiamo soffrendo, ma soffrendo come una madre
che sta per partorire il figlio della gioia.

Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

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