17 Dicembre 2023 III Domenica di Avvento
17 Dicembre 2023 III Domenica di Avvento
Prima Lettura Is 61, 1-2. 10-11
Salmo Responsoriale (Lc 1, 46-50.53-5)
Seconda Lettura 1 Ts 5, 16-24
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 1, 6-8. 19-28
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Per introdurre una delle interpretazioni possibili della Scrittura che avete ascoltato,
potremmo cominciare da una constatazione che ogni giorno ha motivo di essere
fatta: la constatazione del contrasto che nasce in noi quando ci troviamo di fronte a
problemi i quali a poco serve la risposta che ci viene dalla nostra coscienza morale
così come si è formata attorno alle fonti più insospettabili. E allora proviamo il
bisogno di rifarci a qualche principio più remoto, più universale, meno sospetto. Ma
quando ci rifacciamo a principi così universali ci troviamo in contrasto con la
saggezza che viene ritenuta non rinunciabile da nessuno. Facciamo due esempi: per
quanto riguarda i rapporti fra l’uomo e la donna, le istituzioni storiche che li hanno
regolati non sembrano più adatte a rispettare adeguatamente le esigenze dell’amore.
E allora ci rifacciamo sempre più spesso a un principio originario che illumina quei
rapporti: il principio di un amore sufficiente a se stesso, che non ha bisogno di
crismi, di legittimazioni istituzionali, di codici, di protocolli… Si ritorna a un amore
primordiale, fondante, universale. Ed ecco la tribolazione: rifarci a questo principio
significa — in pratica abolire le mediazioni e le garanzie che, per lunga esperienza,
l’umanità ha ritrovato e la Chiesa ha stabilito. E allora l’oscillazione tra i princìpi
normativi del comportamento umano e la norma fondamentale originaria genera un
conflitto che non è semplice risolvere. Il pendolo della coscienza ora si muove
ribadendo l’importanza di certi modelli tradizionali del rapporto uomo-donna, del
ruolo della donna nella famiglia, di regole pratiche ritenute per secoli veramente
fondamentali, ma verso le quali abbiamo, oggi, un profondo sospetto. L’universalità
del principio dell’amore ci soddisfa nella coscienza ma non è sufficiente a
illuminare i modi pratici del comportamento, quasi che l’applicarci all’amore come
tale significhi dare un lasciapassare all’arbitrio, al capriccio, alla volubilità umana.
Ma c’è un esempio ancora più tribolante: quello dei rapporti fra classe e classe, anzi
fra popolo e popolo, fra blocchi di popoli e blocchi di popoli. La violenza è lecita o
non è lecita? Se ritorniamo alle origini, noi sappiamo che ogni atto che offende la
vita dell’uomo è in sé riprovevole. Il mito di Caino ci insegue. Non è lecito alzare la
mano contro il fratello; è proibito uccidere. E un principio a cui noi dobbiamo
ritornare sempre più spesso perché sentiamo che le giustificazioni tradizionalmente
addotte alla uccisione del nemico non reggono più. E tuttavia non appena noi
accettiamo in pieno il principio della non-violenza, sorgono problemi concreti:
quelli della difesa, dell’equilibrio, della resistenza alle oppressioni o alla minaccia
di oppressione. Anche qui ci troviamo oscillanti tra il principio originario che
proibisce ogni atto di violenza contro l’uomo e la coscienza storica che ammette
mille eccezioni a questa legge. Perfino in documenti autorevoli recenti abbiamo
questa stridente contrapposizione fra un richiamo al principio cristiano che
condanna la violenza, che proibisce l’uccisione, che proibisce le armi e un principio
pratico collaudato dalla storia, secondo il quale in certi casi, anche armarsi è
necessario.
Da “Il Vangelo della pace” vol.1 anno A