28 Novembre 2021 – PRIMA DOMENICA DI AVVENTO – Anno C
28 Novembre 2021 – PRIMA DOMENICA DI AVVENTO – Anno C
PRIMA LETTURA: Ger 33,14-16 SALMO: 24 SECONDA LETTURA: 1 Ts 3,12-4,2
VANGELO: Lc 21,25-28,34-36
…La dissipazione, al livello dell’informazione, ci porta più a verificare le piccole battaglie parlamentari che non, poniamo, gli armamenti atomici che in segreto continuano, coperti da un interminabile congresso sul disarmo che, tutti lo sanno, non conclude mai nulla. È appunto una grande menzogna che fa da paravento alla effettiva realtà che è la preparazione di strumenti capaci di far crollare davvero il sole e la luna. C’è una volontà aggressiva che fermenta, dinanzi alla quale, per una specie di convenzione sociale, noi siamo distratti. Ma non solo questo. Ci sono veramente opere di morte, fra di noi. E questa paura, noi lo sappiamo, è senza scampo. È senza scampo! La fede ci dà la possibilità di un altro discorso. Il Signore allude a questa posizione nuova là dove dice: « Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina ». La fede inserisce il processo cosmico e storico (perché il Vangelo di oggi ci obbliga ad assumere anche queste misure cosmiche) dentro una cornice di comprensione: di là di questi processi catastrofici non c’è il vuoto, la cifra senza spiegazione: per noi c’è l’alleanza. Questa è la categoria, cioè il principio di comprensione fondante. C’è l’impegno dall’altra parte. Il nostro è il Dio della Promessa. Io credo nel Dio della promessa e nella promessa di Dio. Questa è l’essenza della fede. E allora, se c’è questa promessa che si è attuata nel figlio dell’uomo, il mio atteggiamento non è più di paura invincibile, perché per quanto passino il cielo e la terra, c’è qualcosa che non passa: appunto la Parola che la fede schiude dentro come un fiore sempre vivo. C’è un modo – per così dire – di vivere dentro la tragedia della fine e insieme di scontarla in noi. Viverla senza finzione e insieme superarla in attesa di cose nuove che devono venire. Se la nostra consuetudine con la Parola di Dio non è occasionale ma strutturale, è una specie di ritmo interno che si intreccia col battito del cuore, queste cose noi le vediamo nascere. E allora la nostra scelta di fede sarà non quella di piangere sulle catastrofi ma quella di allearci con le cose nuove in cui traluce l’adempimento della Promessa di Dio. Ché se noi dovessimo fondare la certezza sull’esperienza non ce la faremmo. Come il rabbino della leggenda, a cui un cristiano osò dire che il Messia è già venuto ad inaugurare il suo regno; apri la finestra, guardò il mondo e disse: «No, il mondo è tale che il Messia non è venuto ». E aveva ragione. Dov’è il Messia? Ma la Parola del Signore non ci dà garanzia, perché Egli è Colui che viene: il giorno del Signore viene, non appartiene al nostro calendario passato, è una dimensione del futuro che irrompe, appunto è un adventus, è qualcosa che viene verso di noi. Allora la fede consiste nel discernimento di questo processo antitetico al successo della catastrofe che è processo di vita. Consiste nell’allearsi ai nuovi segni della vita. È che noi conosciamo la vita secondo le indicazioni dei vecchi manuali. Molti cristiani si accostano alla realtà con lo schema già fatto delle leggi morali sancite, universali, e non si accorgono che conservando le loro leggi astratte mettono i piedi sul germoglio nuovo che è nato. Prima di essere una morale, la fede è discernimento, è un saper cogliere la realtà che nasce, è un passo verso ciò che nasce e cresce. Questo è il modo di incontrare Dio. Altrimenti Dio diventa un nome consolatorio che ci strappa dalla comune condizione umana e ci rende incapaci di piangere adeguatamente e di essere adeguatamente sereni. Quando la nostra vita si è legata, con questo nesso indissolubile, al processo del Dio che viene, allora siamo liberi dalla paura. Infatti, che cosa può avvenire, poi? Cosa può avvenire che spezzi questa sicurezza? Niente può avvenire! All’interno di una vera comunità cristiana non c’è la paura di esser incompresi, perseguitati, vittime della storia. C’è oggi un linguaggio vittimistico, fra i cristiani, che è insopportabile. Come se nel mondo non ci fossero vittime più serie, magari i negri del Sud.Africa, magari i palestinesi … Non staremo a piangere sul mondo che ci perseguita: staremo qui ad allevare il germoglio che è nato; ad esser pronti – in qualunque parte del pianeta – a scommettere che per la promessa di Dio, adempiuta in Cristo, la vita vincerà sulla morte. E questa certezza va pagata quotidianamente, non spesa nelle orazioni domenicali: va scontata giorno per giorno nelle scelte.
Ernesto Calducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 3