Omelia di Pasqua – di Ernesto Balducci

Omelia di Pasqua – di Ernesto Balducci

PASQUA

 

…Tutto è nostro. Noi dobbiamo uscire dalla logica della necessità e riaffermare questo principio costitutivo del mondo. Questa fede nella resurrezione è anche fede che la creazione è avvenuta per amore, che cioè agli inizi c'è un amore che ha posto le cose e non c'è un fato, un destino. Questa fede allora ci libera dalla pietra del se­polcro. La pietra immensa rotola via e noi vediamo, co­me gli uomini della caverna platonica, non più nel fon­do della caverna le immagini che si riflettono dal di fuori ma direttamente, abbiamo sotto gli occhi il sole, le cose. Abbiamo voltato la faccia dal profondo della caverna che è la caverna della necessità del vivere. La resurrezione è questo. Lo so che ho fatto solo delle va­riazioni, niente di più, ma avevo la necessità interiore di dire che le vicende storiche che viviamo, e che spes­so ci portano a chinar la testa delusi, ci portano a ri­trovar la nostra sicurezza. Sappiamo che tutto è com­piuto ma tutto deve cominciare e quindi ci reinseria­ma nella comunità degli uomini senza aggressività ma portando alta la nostra speranza. Dovrà cambiare l'uo­mo, dovrà – come dice il profeta – il cuore dell'uomo diventare, da cuore di pietra, un cuore di carne. È una speranza che noi alimentiamo soprattutto dall'evento che celebriamo perché esso dice che le cose mutano. Il senso intimo, antropologico della Pasqua è l'afferma­zione che le cose mutano. Non è vero che c'è una ne­cessità che governa tutto, la novità è la legge. Non mi importa che mi dicano: «Guarda che gli uomini da quando sono uomini si sono sempre ammazzati». Io dico che verrà tempo in cui gli uomini non si ammaz­zeranno. La mia affermazione non ha documenti se non questo: la novità è possibile, anzi ha una sua diversa, specifica necessità che viene avvertita dalla coscienza che è consustanziale alla libertà. La coscienza omoge­neizzata alla razionalità corrente non ci crede, sorride di un sorriso scettico che è una ferita che spesso ci col­pisce, ha dalla parte sua tutte le cose. Lo scettico può citare tutto quello che vuole del passato e tuttavia la sua saggezza è stolta perché non riesce a capire che mentre parla un filo d'erba gli cresce accanto alle scar­pe e in quel filo d'erba c'è più che in tutto il suo sorri­so freddo come un laser. La novità è il nostro orizzon­te e noi poggiamo questa nostra interna necessità mo­rale sull'evento della resurrezione. Gridiamo quindi al­leluja, la morte e la vita – lo abbiamo sentito ora – si sono confrontate in un terribile duello e finalmente la vita ha vinto la morte. Mentre lo dico ho sempre pau­ra che la parola mi sia rapita dalla comprensione ri­tualistica e allora essa perde senso. La parola acquista senso per chi la traduce in un impegno, in una deci­sione: questo sarà se noi lo vorremo. Chi l'ha presa sul serio, voi lo sapete, come i primi testimoni, ha versato il sangue. Non è quindi una parola di consolazione con cui ci consoliamo con un superattico paradisiaco, per­ché chi fa così svuota di senso il messaggio, ne fa ali­mento alla sua concupiscenza. Questo annuncio è una consegna morale: così sarà se vorrete. Ecco come noi dobbiamo, in una situazione storicamente e cultural­mente così. nuova, riprendere, decifrare e ricodificare secondo il nostro linguaggio l'antico messaggio della Pasqua.

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 2

 

 

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