Chiesa di tutti, chiesa dei poveri – Bruna Bocchini Camaiani – marzo 2018
Il pontificato di papa Francesco ha rappresentato una stagione di novità profonde e di riforme per la Chiesa e per il mondo intero. La sua decisione di volere una Chiesa povera, che scelga davvero i poveri, gli esclusi o, come spesso ricorda, gli “scarti” di questa società, sta incontrando le critiche dei tradizionalisti ma risponde anche alle speranze e alle attese di una parte vastissima di popolazione in tutto il mondo.
Si è tenuta il 2 dicembre a Roma un’assemblea nazionale, promossa da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri (www.chiesadituttichiesadeipoveri.it) e da molte altre associazioni e reti di associazioni, come I Viandanti (www.viandanti.org) La Chiesa siamo noi (www.noisiamochiesa.org),sezione italiana di We are the Church, (www.we-are-church.org), C3 dem (www.C3dem.it), (Concilio, costituzione, cittadinanza).
Il motivo ispiratore era quello di cercare di comprendere meglio i tanti temi della sua predicazione, da quello religioso ecclesiale della Evangelii gaudium, a quello di un rinnovamento profondo della teologia morale, con i due sinodi sulla famiglia e con l’Amoris laetitia, a quello delle sue decise prese di posizione sull’ambiente, sul creato e sui destini del mondo, con la condanna netta dell’attuale andamento economico e finanziario, della corsa agli armamenti, così come sono espressi nella Laudato sii.
L’assemblea ha assunto come motivo ispiratore il brano di Giovanni “Ma viene un tempo ed è questo” (Gv 4,23). Quel brano si situa all’interno del colloquio di Gesù con la samaritana, nel quale Gesù afferma: “Credimi donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, ma noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene un tempo – ed è questo – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti in Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità” (Gv 4,21-24). Il tema è motivato sia dalla svolta profetica di papa Francesco che incoraggia all’impegno per preparare le novità, sia dalla necessità di prendere piena consapevolezza delle sofferenze e delle minacce che incombono sul nostro tempo e sul mondo, che derivano dall’attuale fase della globalizzazione. In particolare la precarizzazione della vita, soprattutto dei giovani, le politiche di genocidio, le minacce nucleari e un’economia che uccide, che toglie dalla vita e dal mercato popolazioni intere. Di fronte a queste realtà l’assemblea ha voluto proporre una reazione, votando un documento che assumeva il temine paolino ‘Katéchon’, che indica qualcosa o qualcuno che si oppone che fa resistenza, per indicare le prospettive per un’alternativa, così come propone da tempo papa Francesco a credenti e non. Tutte le relazioni hanno voluto riferirsi al “Ma” del Vangelo, indicando con questo la fede in un’alternativa allo stato presente delle cose, la possibilità di costruire una verità valida per ogni uomo.
La relazione introduttiva di Raniero La Valle: In quale tempo accade il Ma del tempo sperato ha proposto una lettura del tempo presente che fosse anche una prospettiva di un nuovo inizio, in una soglia oltre la quale c’è “la morte o la vita: la guerra privatizzata, l’esodo dei migranti, le de-creazione della terra, l’uscita dalla cristianità”.
Lo storico Daniele Menozzi ha analizzato Il MA di papa Francesco dopo quale storia della Chiesa. Il richiamo alla misericordia, nella lettura del Vangelo proposta da Francesco, è il tema “essenziale e costitutivo” del suo messaggio. Per comprenderlo adeguatamente allora è necessario aver presente le linee della lunga storia della Chiesa, perché questo pontefice non sta innovando alcuni aspetti della dottrina o della pastorale, o almeno non solo questo, ma segna una discontinuità nei confronti delle linee che si sono sedimentate nel secondo millennio, dalla riforma gregoriana al Concilio di Trento a Pio IX e alla tradizione intransigente che è stata prevalente fino al concilio Vaticano II. Questa tradizione si basa sul presupposto che, possedendo la Chiesa la verità non solo religiosa, ma anche politica e sociale, la pretesa dell’uomo moderno di autodeterminare le forme organizzative della vita collettiva costituisce una minaccia mortale alla sua presenza nella società. Alla volontà dei contemporanei di costruire, in piena autonomia, la loro storia, Francesco non contrappone la richiesta di subordinazione alle corrette regole della convivenza elaborate dal magistero, propone invece una Chiesa che offre un aiuto ai mali, alle ferite, ai dolori che essi incontrano nel loro libero percorso: la figura dell’“ospedale da campo” si sostituisce a quella della “cittadella assediata”.
La relazione del teologo Giuseppe Ruggeri era dedicata al significato de Il MA del Vangelo nella sofferenza del mondo. Egli ha ricordato come “La novità rappresentata da papa Francesco sta tutta nella centralità del Vangelo, che non è identico alla dottrina e alla disciplina della Chiesa, ma è la stessa forza dell’amore di Dio che esplica la sua energia nel cuore dei credenti’. Il Vangelo che ha come destinatari privilegiati i poveri e i sofferenti, gli esclusi, mentre l’amore di Dio si rivolge all’uomo ancora peccatore. Ma, sottolinea Ruggeri “Il Vangelo non è rivolto solo ai cristiani e alle chiese, ma ad ogni uomo e a ogni donna che si vogliono caricare del peso della storia attuale, con tutte le contraddizioni e i drammi che la caratterizzano. Questo spiega perché, quando il Vangelo viene effettivamente annunciato, allora tutti gli uomini ne percepiscono il significato, anche quando lo rifiutano. Questo è quanto sperimentiamo adesso con papa Francesco, così come i più vecchi di noi sperimentarono con papa Giovanni XXIII”.
Analoga la riflessione della biblista Rosanna Virgili su Il MA della ‘sola misericordia’, mentre la relazione di filosofo del diritto Luigi Ferrajoli Il MA della ragione per una civiltà senza genocidio ha sottolineato come oggi i migranti siano persone senza diritti: “La violazione più drammatica del principio di uguaglianza (…) è oggi, indubbiamente, il trattamento cui le nostre democrazie sottopongono i migranti. Costretti a fuggire dalle guerre, dalla fame e dalle disuguaglianze sostanziali provocate in gran parte dalle nostre politiche, presenti e passate, costoro incontrano, nei nostri paesi, le discriminazioni delle loro differenze personali legate al loro status di stranieri. Questa è una realtà che rischia di compromettere il nostro statuto democratico”. Non è possibile approfondire qui i temi svolti dalle ricche relazioni, che si possono trovare sui siti delle associazioni; il convegno ha visto molti partecipanti, a conferma della grande eco delle pastorali di papa Francesco, non solo tra i cattolici.
Bruna Bocchini Camaiani