Balducci l’Uomo
«Mi sono spesso domandato che ne sarebbe stato di me se fossi nato in una città chiassosa e illuminata, in una tranquilla famiglia borghese.
Ma sono nato nel silenzio di un paese medioevale, sulle pendici di un vulcano spento e in una cornice umana dove era difficile discernere il confine tra la realtà e la fiaba.
Sono cresciuto avvolto in un silenzio che mi dava spavento e mi avvezzava ai contatti col mistero. E’ stata una grazia? È stata una circostanza casuale che ha condizionato la mia libertà per sempre? Questa domande si spengono nel silenzio e cioè nel giusto posto». ( E. Balducci, “Il cerchio che si chiude”, intervista autobiografica a cura di Luciano Martini, Edizioni Piemme, Casale Monferrato – 2000)
Santa Fiora, il piccolo paese di minatori sul monte Amiata, dove Balducci è nato il 6 agosto 1922, primogenito di quattro figli (Agnese, Maria e Beppina), è sempre stato, da lui rievocato come un luogo fondamentale della sua formazione umana e religiosa.
Suo padre Luigi era minatore e la famiglia viveva «ai margini tra la miseria e la povertà»; da quell’ambiente, che egli ricordava come caratterizzato da grandi sacrifici e dedizione al lavoro e da una fede intessuta di laicità, aveva tratto molti motivi ispiratori della sua religiosità e uno stile peculiare di sobrietà e riservatezza. Inoltre egli sentiva come un dovere di fedeltà al suo popolo e alle sue origini la necessità di «dare voce» alle lotte e alle istanze di giustizia dei più poveri, dai minatori dell’Amiata agli emarginati della città come del terzo mondo.
Entrato da adolescente, con una borsa di studio nel collegio degli Scolopi, chiamato «Speranzinato», decideva successivamente di prendere i voti e di assumere il sacerdozio; verrà ordinato il 26 agosto 1945.
Giunto nell’agosto 1944 a Firenze, che era stata appena liberata, Balducci iniziava l’insegnamento alle Scuole Pie Fiorentine e frequentava la Facoltà di Lettere e Filosofia dove si sarebbe laureato nel 1950 con Attilio Momigliano con una tesi su Fogazzaro (Antonio Fogazzaro, Morcelliana, Brescia 1952).
In questi anni egli fondava un circolo Umanistico Cristiano in uno scantinato in via Martelli di cui era animatore insieme a Giorgio Luti con una connotazione prevalentemente letteraria. Ma la scelta di Fogazzaro per la ricerca relativa alla tesi era già indicativa di un ampliamento dei suoi interessi letterari verso tematiche rosminiane e modernistiche. Inoltre in questo periodo egli conosceva e frequentava Giovanni Papini, Piero Bargellini, Nicola Lisi e Benvenuto Matteucci.
Fu però la presenza di Giorgio La Pira, con la forza delle suggestioni e delle prospettive che sapeva suscitare all’interno del mondo cattolico, ad indurre Balducci a spostare l’asse dei suoi interessi dalle tematiche letterarie a quelle sociali e politico-culturali. La sua collaborazione con La Pira inizia verso la fine degli anni Quaranta e si esplica prevalentemente nei gruppi giovanili della S. Vincenzo nel cui ambiente conosce Gian Paolo Meucci.
In questi gruppi la sensibilizzazione ai problemi sociali e politici avveniva tramite l’esperienza del rapporto diretto con i poveri. Da questo ambiente sarebbe sorto, nei primi anni Cinquanta, «Il Cenacolo», caratterizzato da un impegno caritativo di tipo nuovo, che tendeva a superare i moduli assistenziali e prevedeva una formazione religiosa, teologica e spirituale impegnativa, con un’attenzione forte ai problemi politico-sociali.
Emerge in quest’esperienza la capacità educativa e di formazione di giovani di Balducci; egli proponeva modelli spirituali e di vita associativa desunti da esperienze francesi, che suggerivano modalità più libere rispetto agli schemi molto rigidi diffusi in Italia. Il momento comunitario, vissuto con intensità di rapporti, era strettamente collegato ad un profondo rispetto della libertà degli indirizzi e delle diverse scelte di ciascuno.
Collegata al Cenacolo e alle iniziative messe in atto da La Pira, negli anni cinquanta, sulla pace è anche una sempre più intensa partecipazione di Balducci alla vita culturale della città; infatti egli diviene uno dei collaboratori più stretti del sindaco, insieme a Mario Gozzini e Gian Paolo Meucci, rappresentando un supporto ecclesiale, soprattutto sul piano teologico-religioso, delle scelte lapiriane; suo è l’Appello, firmato anche da Enrico Bartoletti e don Matteucci, per il convegno della «pace e civiltà cristiana» del ’54, incentrato sul tema «cultura e rivelazione», che tendeva a incoraggiare il dialogo tra culture diverse, nel superamento di un’ottica puramente occidentale.
Nel 1957 Balducci partecipa alla missione di Milano, su invito del vescovo della città, Giovan Battista Montini, insieme, fra gli altri, a padre David Maria Turoldo e a don Primo Mazzolari. In quello stesso periodo, alla radio, egli parla, tra i primi in Italia del pensiero di Teilhard de Chardin e di quello di Emmanuel Mounier, il fondatore della rivista «Esprit» di cui è attento lettore.
Nel 1958 fonda la rivista «Testimonianze» con un gruppo di amici e giovani legati al Cenacolo come, oltre a Gozzini e Meucci, Vittorio Citterich, Mario Camagni, Federico Setti, Danilo Zolo e Lodovico Grassi, che ne è l’attuale condirettore.
L’intento era quello di dare voce a un cattolicesimo non più caratterizzato da un «proselitismo aggressivo» proiettato interamente nella «conquista», ma che si fondasse piuttosto sul valore della «testimonianza», ispirandosi alla spiritualità dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld.
Balducci esprimeva alcune esigenze di apertura sociale e di dialogo presenti nel mondo cattolico soprattutto giovanile, pur restando interno a quegli ambienti e condividendone alcune prospettive apologetiche insite nel progetto di una «nuova cristianità» maritainiana, (cfr. tra gli altri: Cristianesimo e cristianità, Morcelliana, Brescia 1963).
Una delle prime schede di abbonamento inviate alla rivista fu quella dell’allora arcivescovo di Milano Giovan Battista Montini.
Le censure romane verso i fermenti innovatori presenti nella Chiesa cattolica, che caratterizzano gli ultimi anni del pontificato di Pio XII, colpiscono anche le iniziative ‘imprudenti’ di La Pira, rivolgendosi contro l’ambiente e i collaboratori più stretti del sindaco.
Nel 1954 la nomina di Ermenegildo Florit, legato ad Ottaviani e al ‘partito romano’, come vescovo coadiutore «ad sedem», assumeva questo significato, così come tra il 1958 e il ’59 l’allontanamento di religiosi legati a La Pira: Balducci, David Maria Turoldo e Giovanni Vannucci, mentre la nomina di Bartoletti, rettore del seminario, a vescovo ausiliare e poi ad amministratore apostolico a Lucca, con poteri di fatto molto limitati, assumeva il significato di un «promoveatur ut amoveatur».
L’ «esilio» di Balducci a Frascati colpiva il Cenacolo e «Testimonianze» privandoli del loro ispiratore. Ma, per una imprevedibile coincidenza che egli amava chiamare «ironia della Provvidenza», in realtà quel trasferimento, prima a Frascati poi a Roma dal 1959 al ’65, gli permise di seguire da vicino gli eventi connessi con il pontificato di papa Giovanni XXIII e i lavori conciliari. Il Concilio, vissuto a Roma, dette la possibilità a Balducci di intessere una serie di rapporti con i teologi e i vescovi di tutto il mondo e divenne un’occasione unica di ampliare i suoi orizzonti teologici, ecclesiologici ed esegetici.
Egli si impegnò molto nello studio e nella divulgazione del dibattito conciliare, condividendo la speranza di una riforma della Chiesa incentrata sul primato della Parola di Dio, nella forte rivalutazione del ruolo del popolo di Dio e della Chiesa locale e su un rapporto profondamente rinnovato della Chiesa con il mondo contemporaneo (La Chiesa come eucarestia, Queriniana, Brescia 1969; Diario dell’esodo, Vallecchi, Firenze 1971).
In realtà, proprio in questi anni di grandi speranze di rinnovamento della Chiesa e della società, Balducci dovette affrontare molte polemiche e conflitti per le sue prese di posizione. Basti ricordare, a seguito della pubblicazione di un articolo-intervista su «Il Giornale del mattino» datato 13 gennaio 1963, dal titolo La Chiesa e la Patria, il processo, svoltosi tra il 1963 e il ’64, per apologia di reato per la difesa dell’obiezione di coscienza, conclusosi con la condanna in appello e in cassazione e la contemporanea denunzia al Sant’Uffizio sulla base delle stesse accuse.
Se le fratture non divennero drammatiche ciò fu dovuto ad un’antica stima di Giovan Battista Montini, che rimase praticamente inalterata per tutto il pontificato e costituì un elemento indubbio di protezione, e ad una certa capacità di mantenere rapporti personali con gli stessi esponenti delle autorità romane che esprimevano le censure.
Di fatto fu per intervento di Paolo VI, incontrato nell’ottobre dell’anno precedente, che Balducci, nel febbraio 1965, ritornò a Firenze, pur dovendo risiedere a Fiesole, cioè fuori dalla diocesi fiorentina, di cui era vescovo Ermenegildo Florit.
Due anni dopo il suo rientro a Firenze, muore don Lorenzo Milani di cui Balducci aveva seguito le vicende e l’evolversi della malattia. La ‘restaurazione’ conciliare, espressa emblematicamente dalla Humanae vitae e dalla destituzione di Lercaro, aveva ripercussioni pesanti anche a Firenze con i conflitti ecclesiali legati al governo della diocesi esercitato da Florit e al ‘caso’ Isolotto.
Balducci modificò progressivamente il suo atteggiamento verso le speranze di riforma della Chiesa esprimendo la sua delusione al riguardo.
Questa consapevolezza, sempre più lucida e amara, si collegava ad un mutato clima culturale verso la fine degli anni Sessanta, portando la sua riflessione verso quella svolta che egli stesso avrebbe definito di «secolarizzazione» o «svolta antropologica» o «planetaria» che sarebbero emerse pienamente negli scritti degli anni Ottanta.
Di fatto, a partire dagli anni Settanta, dalla delusione dovuta al mancato rinnovamento ecclesiale e religioso, si può trovare in lui un distacco sempre più accentuato dai temi della riforma ecclesiale, sui quali non interviene più, mostrando un certo disinteresse verso i dibattiti interni alla Chiesa, alla quale rimprovera di essere rimasta troppo ancorata a una prospettiva ecclesiocentrica (L’uomo planetario, Camunia, Milano 1985;
Le tribù della terra, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole 1991; La terra del tramonto, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1992).
Negli anni Ottanta è anche protagonista dei convegni promossi dalla rivista «Testimonianze» che hanno come ispirazione il tema Se vuoi la pace prepara la pace, offrendo un contributo originale e di grande respiro ai movimenti pacifisti del nostro paese e, soprattutto, all’elaborazione di una cultura della pace.
In questa prospettiva si impegna, dal 1986, con la fondazione della casa editrice Edizioni Cultura della Pace (ECP) che rappresenta il suo impegno più significativo degli ultimi anni. Inizialmente la produzione della casa editrice si articola in due collane: l’«Uomo Planetario» e l’«Enciclopedia della Pace» costituita da varie sezioni («Maestri», «Problemi», «Testi/Documenti»), cui se ne aggiungono presto di nuove come le «Caravelle» pensate in vista del cinquecentenario della scoperta dell’America.
Lo stesso Balducci, nella sezione «Maestri» pubblica le biografie di Giorgio La Pira (1986), Gandhi (1988) ed quella, fortunatissima, di Francesco D’Assisi (1989), ed inizia le collane «Uomo Planetario» e «Caravelle», ripubblicando L’uomo planetario e dando alle stampe l’ultimo libro Montezuma scopre l’Europa (1992).
Il suo discorso, la riflessione e predicazione si incentrano sempre più nettamente su una matrice biblico-evangelica, intesa come prospettiva profetica; in essa si collocano la lettura del Vangelo come annuncio di pace e di una società non violenta; il suo impegno per gli emarginati nella città, i suoi rapporti con il carcere e con i detenuti ‘politici’, così come, con assoluta continuità, la sua partecipazione alle lotte di liberazione dei popoli del terzo mondo.
Sono realtà vissute senza soluzione di continuità, come «uomo tra gli uomini», come annunciatore della Parola, che assume le ragioni storiche di tutti come radici e fondamento della speranza. In questa prospettiva, la distinzione fede-religione viene ampiamente utilizzata per una critica più generale alla «struttura sacrale» come «struttura di segregazione» dell’uomo.
All’inizio del 1992 muore l’amico David Maria Turoldo: Balducci partecipa alla liturgia funebre nella Chiesa di San Carlo a Milano celebrata dal vescovo della città, cardinale Carlo Maria Martini. Alla fine di marzo presenta il volume La terra del tramonto alla Badia fiesolana, intervistato da Sergio Zavoli.
In una Sala degli Affreschi affollatissima, Balducci riconferma – durante quello che sarà il suo ultimo incontro pubblico di un certo rilievo – gli esiti della sua riflessione intellettuale: la cultura intesa non come «puro modo di pensare» ma come «modo di essere»; l’umanità, nella pluralità delle sue espressioni, come nuovo soggetto della storia in luogo dell’«umanità occidentale»; la speranza intesa come fede nella ragione critica piuttosto che come atteggiamento psicologico; la dialettica tra l’uomo inedito e l’uomo edito; il dialogo con l’altro come disponibilità all’ascolto.
Poche settimane più tardi, il 25 aprile 1992, Balducci muore in seguito alle gravissime conseguenze di un incidente stradale occorsogli, alle porte di Faenza, due giorni prima, al ritorno da alcuni impegni pubblici. Il giorno successivo la salma viene trasportata alla Badia fiesolana per la veglia funebre e l’indomani trasferita all’istituto degli Scolopi in via Cavour a Firenze.
Nel pomeriggio del 27 aprile si svolge la liturgia funebre, celebrata dall’Arcivescovo Piovanelli nella cattedrale fiorentina gremita di persone.
La salma provvisoriamente tumulata, il 28 aprile, nella cappella della famiglia Balducci nel piccolo cimitero di Santa Fiora, ha poi avuto definitiva sistemazione nella tomba progettata dalla Fondazione Michelucci, con il contributo della Fondazione Balducci e dell’Amministrazione comunale di Santa Fiora.
Su iniziativa di un Comitato subito organizzato da un gruppo di amici, collaboratori ed estimatori di Balducci e grazie alla disponibilità mostrata dai padri Scolopi e dagli eredi di padre Balducci, è stata costituita, il 25 febbraio 1995, una Fondazione intitolata al suo nome con lo scopo di custodirne il suo patrimonio librario e archivistico, di raccoglierne e pubblicarne gli scritti, di coordinare l’attività delle realtà che si richiamano al suo impegno e di tentare di mettere a frutto il seme lasciato da una personalità così ricca e poliedrica.