12 Luglio 2020 – 15^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
12 Luglio 2020 – 15^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Come è possibile che questo Dio, vindice della storia secondo la nostra fede, lasci invece che la storia rimanga un gioco assurdo di prepotenze trionfanti e di nobiltà sconfitte? Perché questo? È la pazienza che ci vien richiesta, come ci dice la Scrittura di oggi.
PRIMA LETTURA: Is 55, 10-11- SALMO:64- SECONDA LETTURA: Rm 8, 18-23- VANGELO: Mt 13,1-23
…Il senso vero del destino dell'uomo è nel mistero di Dio. A noi non tocca altro che di farci solidali con tutto ciò che di positivo traluce dalla potenza individuale e collettiva. Questo principio della nostra fede può esser realizzato solo attraverso sofferenze innumerevoli. Queste doglie del parto, questo gemito – scusate se ci insisto – mi rievocano condizioni personali e comuni di grandi tribolazioni. Se noi dovessimo soffrire soltanto quando siamo ingiusti, ben venga la sofferenza; se dovessimo soffrire solo nella competizione fra gli interessi, ben venga la sofferenza. Ma quando dobbiamo soffrire perché amiamo l'umanità, la fraternità e la libertà, allora la tribolazione ci porta ai confini della disperazione. Come è possibile subire persecuzioni solo perché si ama la giustizia e magari da parte di coloro che professano le nostre stesse certezze? Come è possibile che questo Dio, vindice della storia secondo la nostra fede, lasci invece che la storia rimanga un gioco assurdo di prepotenze trionfanti e di nobiltà sconfitte? Perché questo? È la pazienza che ci vien richiesta, come ci dice la Scrittura di oggi. Da una parte è necessaria l'impazienza perché il momento della libertà venga; chi non sente il morso di questa impazienza si tenga lontano dalla Parola di Dio perché essa diventa consolazione alienante. Questa impazienza è la nostra legittimità. Ma chi ha questa impazienza deve poi saper aspettare, perché i tempi sono distribuiti dalla sapienza del Signore secondo misure che trascendono le nostre aspettative personali. Come il popolo ebraico viaggiò nel deserto e nessuno di quelli che erano partiti dai faraoni arrivò alla terra promessa, eppure essi soffrirono ogni tribolazione, così ogni credente deve essere pronto a continuare nella fedeltà della sua attesa anche se non gli fosse concesso nemmeno di intravedere la Terra Promessa. Questa fedeltà profonda è una consegna che ci viene dalla fede. Ma notate che qui la fede si identifica con la fedeltà della coscienza a ciò che percepisce nel processo degli avvenimenti umani in rapporto alla liberazione. Il seme che cade nel campo ed ha vicende così diverse, mi sembra simboleggi perfettamente, senza scendere a nessuna analisi, questa nostra lotta personale con la Parola di Dio nel senso lato che ho dato al termine. Quante volte noi abbiamo accettato la Parola ma poi l'amore per la ricchezza l'ha soffocata in noi? Se io dico parole di giustizia a me ed a voi, chi non sente in sé muoversi un consenso dal fondo del proprio cuore? Ma che volete che siano le nostre buone volontà domenicali! Rientriamo nella meccanica della vita di tutti i giorni, e il calcolo personale diventa egemonico. In noi la fede è una specie di reminiscenza domenicale, che ci serve ad addormentare le nostre inquietudini, e a crearci quella buona coscienza che, in parola biblica, si chiama ipocrisia farisaica. Vivere con fedeltà a questa Parola in cui è contenuto il destino, non di noi credenti, ma di tutti gli uomini, significa saper sopportare tutte le tribolazioni, dato che il frutto si ha soltanto attraverso la pazienza. A volte vediamo scomparire uomini che ci sembravano lavoratori fecondi e sopravvivere uomini che sono soltanto parassiti, pesi morti. Non c'è nessuna saggezza verificabile nella distribuzione dei tempi di lavoro per la crescita del mondo secondo l'aspirazione della creazione. Anche questo ci obbliga ad una grande pazienza. Veramente Dio non c'è, se noi guardiamo le cose come vanno. Ma la pazienza di cui parlo cresce sotto l'ombra di quella Croce in cui tutto fu compiuto, proprio quando sembrava che Dio assolutamente non ci fosse. Se mi cercate, nella storia dell'uomo, un punto in cui Dio si doveva vedere ma non si vide, voi dovete rifarvi all'ora della Crocifissione: il giusto era crocifisso e gli ingiusti trionfavano. Ma proprio quando Dio non c'era, c'era. In quel momento il mondo fu svelato per quel che era: operazione di iniquità. E l'uomo giusto fu svelato per quel che era: Uno che dà la vita per i suoi fratelli. E così noi dobbiamo saper assumere con virilità e coraggio la circostanza dell'oscurità che spesso ci avvolge l'anima, e non lasciarci troppo esaltare dai momenti in cui le nostre attese sembrano esplodere nell'adempimento della fioritura, perché verranno i tempi duri in cui anche i nostri migliori fratelli ci colpiranno e ci perseguiteranno.
Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 1