8 Dicembre 2019 – II DOMENICA D’AVVENTO – Anno A

8 Dicembre 2019 – II DOMENICA D’AVVENTO – Anno A

8 Dicembre 2019 – II DOMENICA D’AVVENTO – Anno A

 

Oggi i poteri hanno altri modi per uccidere: emarginare, segregare, mettere fuori quadro in questa grande manipolazione dell'opinione pubblica che è la nuova forma del potere. L'uomo di pace è ignorato, è relegato nell' anonimato assoluto perché la grande festa della competizione occupa gli schermi della nostra osservazione del quotidiano e dello storico.

 

PRIMA LETTURA: Is 11,1 – 10- SALMO: 71- SECONDA LETTURA: Rm 15,4-9- VANGELO: Mt 3,1 – 12

 

Del grande messaggio di pace che avete ascoltato, due parole mi sono rimaste conficcate nell'anima, due parole che devono andare insieme (ma non vanno mai insieme!) e sono la pace e la giustizia. Dove non c'è giustizia non c'è pace e dove non c'è pace non c'è giustizia e, tuttavia, noi lo vediamo, e questa è in sintesi la drammaticità della storia umana: chi ama la giustizia fino in fondo difficilmente può essere un uomo di pace. Anche le parole che vengono dal profeta della giustizia che è il Battista sono parole violente: «razza di vipere» dice ai Farisei. Difatti un amore per la giustizia che prescinda dalla pace diventa, inevitabilmente, terrorismo. Ma un amore della pace senza giustizia diventa la menzogna insediata nel mondo. Ad esempio, in questi giorni in cui tutti ci rallegriamo perché finalmente, davvero, il bambino e il leone stanno insieme, davvero i due blocchi che hanno rattristato la nostra vita si disciolgono, noi non possiamo non sentire dal fondo dell'anima salire l'altra parola: e la giustizia? Questa pace, che è una grande cosa, non è nella giustizia, è portata dalle spalle di miliardi di poveri. È quindi una pace per noi, è una pace alla cui radice c'è una sperequazione drammatica, insostenibile. Ma che forse non dovremo rallegrarci della pace? Dobbiamo rallegrarci, ma per invocare subito la giustizia. Anche gli israeliani in Palestina vogliono la pace, il governo del Salvador vuole la pace, ma la giustizia? E questa la nostra croce. Chi vuole le due cose con uguale passione non può che pagare col sangue come, in modo sommo, Gesù Cristo che è il profeta della giustizia ed insieme della pace. La combinazione di questi due valori irrinunciabili è ciò che ci lacera dentro e, dandosi il caso, anche fuori perché dobbiamo battere vie nuove, dobbiamo – questo è il monito che ci viene non solo dal profeta, non solo dalla testimonianza di Gesù e di tutti i non violenti, ci viene dalle «pietre» – volere la pace nella giustizia in modo pacifico. Costruire la pace scegliendo gli strumenti di pace, per chi vive dentro le strettoie della ingiustizia, è come impossibile. Per questo noi dovremo anche non lanciare mai la prima pietra contro gli oppressi che non potendo più sopportare l'oppressione, per amore di giustizia, impugnano le armi. È drammatico il fatto. Chi potrà giudicare? Non certo noi che, usi a tutti i vantaggi dell'ingiustizia costituita, possiamo parlare di non violenza senza avere la tentazione di usar violenza. Noi non possiamo entrare dentro il dramma della storia con la saccenteria dei privilegiati. Questo è il dramma nostro. Di qui quel sottile filo di amarezza che si svolge in noi quando parliamo della non violenza, dei metodi pacifici di lotta, perché lo facciamo in zona di immunità: siamo per così dire extraterritoriali. In realtà nessuno è fuori, ognuno è dentro. Chi è fuori è dalla parte dell'ingiustizia. Ecco la contraddizione che segna nell'intimo la nostra condizione storica; tutto sommato, è il peccato. Quando sentite uno che vi parla di pace, domandategli se è in regola con la giustizia e lo metterete in silenzio; e quando uno parla di giustizia, domandategli se ama davvero, se è amante della pace, e vedrete che difficilmente lo è perché in nome della giustizia egli si permetterà la violenza. Questo è l'assurdo della storia. Questa è la contraddizione che portiamo nell'animo. Chi di voi non ha sentito questo contrasto? Chi di voi non avverte che sul piano concreto l'armonizzazione della pace e della giustizia è una impresa impossibile perché se io sono pacifico permetto che gli ingiusti continuino a commettere ingiustizia e se io voglio eliminare l'ingiustizia sono tentato di usare tutti i mezzi per eliminarla, anche quelli che spargono sangue. Chi di voi non ha sentito questa morsa dentro, non è maturo per il tempo in cui siamo. Il tempo in cui siamo è veramente il tempo nel quale si aprono possibilità nuove per conciliare attivamente, fecondamente, questi due termini che devono stare insieme e non possono stare insieme. Questo è il luogo in cui individuare la nostra vocazione cristiana nel senso rispondente alle promesse della pace.Gli ebrei, contro cui scagliava le sue invettive il Battista, dicevano: «Noi siamo figli di Abramo». Noi siamo cristiani!, diciamo noi. Ma Dio fa nascere i cristiani dalle pietre. I figli della pace sono dovunque, sono anche fuori, come si direbbe in un linguaggio che, a mio giudizio, non corrisponde alla dimensione messianica della promessa. Nessuno è fuori. Chiunque vive con dentro il cuore il bisogno, sofferto e pagato di persona, di conciliare pace e giustizia, costui è figlio di Abramo, costui è all'interno della grande operazione di pace che è l' operazione di Dio nella storia. Oggi abbiamo questa possibilità perché – senza abbandonarmi alla retorica – nessun dubbio che c'è una mutazione qualitativa della stona umana in quanto siamo in un tempo – dite voi se non è vero – in cui, grazie a Dio, nessuna guerra vince più. L’oscuro fascino della guerra era che si poteva vincere, ma adesso fateci caso: chi ha fatto la guerra con tutto il potere delle armi nuove non ha vinto. I potenti si sono ritirati, la coscienza dei popoli si è svegliata, armata della propria prorompente volontà di affermare i diritti umani. Una svolta è cominciata, quella della potenza della coscienza dei diritti dell'uomo. Quando questa coscienza viene vissuta non in modo individualistico ma in modo corale, comune, si spezzano le strutture dell'oppressione che sembravano avere per sé il futuro. Questa svolta implica non soltanto un cambiamento nel rapporto fra i popoli – qualcosa avviene, lo vediamo – ma implica un rapido cambiamento nello stile della vita. Inutilmente ci illudiamo di poter essere spettatori della storia, in quanto essa è nelle mani di ciascuno di noi. I blocchi non sono quelli che hanno intristito la nostra carta geo-politica, sono quelli che hanno intristito la nostra vita cittadina la nostra vita familiare, il rapporto dell'uno con l'altro. L'«esser contro» è stata la nostra maniera di identificarci. Dobbiamo compiere questa svolta perché l'aggressività non premia più. I suoi premi erano amari ma c'erano, oggi essa non premia più. So bene che finché ci sarà la storia, la pace e la giustizia non potranno mai abbracciarsi del tutto ed è per questo che ci saranno sempre i martiri. Coloro che osano unire i due termini devono pagare col sangue, magari metaforicamente, non necessariamente in modo fisico. Oggi i poteri hanno altri modi per uccidere: emarginare, segregare, mettere fuori quadro in questa grande manipolazione dell'opinione pubblica che è la nuova forma del potere. L'uomo di pace è ignorato, è relegato nell' anonimato assoluto perché la grande festa della competizione occupa gli schermi della nostra osservazione del quotidiano e dello storico. Però il futuro è in mano agli uomini di pace, in questo senso robusto. Mentre dico pace, lo so bene, la parola suona falsa, in quanto l'abbiamo sentita ripetere dagli aggressori, dai tiranni; abbiamo sentito usarla per giustificare le più nefande operazioni. Anche nei rapporti privati abbiamo sentito condannare, demonizzare la lotta di classe operaia, la lotta di classe che turba la pace come se non fosse vero che a turbarla sono sempre coloro che appartengono alla classe dei dominatori. La parola pace, anche nella predicazione religiosa, è servita a legittimare disordini, gerarchie, dipendenze e quindi
essa gronda di responsabilità. Riscattandola, però, in questa purezza sorgiva della parola di Dio possiamo pronunciarla senza ambiguità dicendo che la scelta della pace è il nostro modo di vivere l'Avvento. Non dico l'Avvento in quanto ritmo rapido delle cadenze liturgiche, ma l'Avvento come dimensione messianica della storia. Il nostro luogo di identità è l'incontro profondo, organico, fra pace e giustizia.

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 1

 

 

 

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