20 Ottobre 2019 – XXIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
20 Ottobre 2019 – XXIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
Se noi preghiamo invece che operare, se noi preghiamo invece che cercare l'efficacia del nostro operare, non c'è dubbio che la preghiera va incontro alle nostre accidie e alle nostre inadempienze, presume di riempire i vuoti della nostra umanità. E siccome in un mondo qual è il nostro, generalmente colto, la consapevolezza delle ragioni delle ingiustizie, dei soggetti storici che ne portano la responsabilità, è viva, presente, pregare perché avvenga la giustizia nel mondo è atto ambiguo o, a volte, addirittura iniquo se si accompagna al disimpegno.
PRIMA LETTURA: Es 17,8-13- SALMO: 120, 1-2; 3-4; 5-6; 7-8- SECONDA LETTURA: 2Tm 3,14-4,2- VANGELO: Lc 18,1-8
A chi vive, come noi viviamo, ad un certo livello di cultura, non è più lecito pregare con innocenza. Che voglio dire? Voglio dire che la preghiera, come invocazione a Dio, come appello a Dio, e di questo ci parla la Scrittura di oggi, per essere autentica, presuppone che si sia messo in opera tutto quello che è nelle nostre possibilità per realizzare l'obiettivo che riteniamo buono e necessario. Se noi preghiamo invece che operare, se noi preghiamo invece che cercare l'efficacia del nostro operare, non c'è dubbio che la preghiera va incontro alle nostre accidie e alle nostre inadempienze, presume di riempire i vuoti della nostra umanità. E siccome in un mondo qual è il nostro, generalmente colto, la consapevolezza delle ragioni delle ingiustizie, dei soggetti storici che ne portano la responsabilità, è viva, presente, pregare perché avvenga la giustizia nel mondo è atto ambiguo o, a volte, addirittura iniquo se si accompagna al disimpegno. Ecco perché è difficile che la nostra preghiera sia innocente. Essa porta su di sé i riflessi oscuri delle nostre complicità con le cause di quel male che vorremmo eliminato da questo mondo. È come quando, in certe comunità che io ho frequentato si faceva la preghiera per i poveri. Si trattava di comunità strutturalmente solidali con il mondo dei ricchi e quindi impegnate a mantener su le condizioni che favoriscono la divisione del mondo fra ricchi e poveri e che poi si costruivano per l'occasione una buona coscienza con la preghiera periodica per i poveri. Per questo mi piace dire che una preghiera prepolitica è una preghiera ambigua: la vera preghiera dovrebbe essere postpolitica; cioè dovrebbe scaturire da una coscienza che si trova in regola col giudizio politico sulla situazione e sull'impegno personale nel modificarla; in concreto, trattandosi dei poveri, da una coscienza politica delle cause che determinano la povertà, l'emarginazione dei più deboli e da un impegno diretto a eliminare queste cause. Se la preghiera nasce all'interno di questo progetto operativo, essa è legittima; se nasce al posto di questo progetto, essa è ambigua e non arriva fino al cuore di Dio. Detto questo, a scanso di equivoci, vorrei abbandonarmi ad alcune intuizioni che mi vengono suggerite costantemente dalle parole di Gesù, che riguardano la preghiera dei poveri: «Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di Lui e li farà a lungo aspettare? » domanda Gesù. C'è una preghiera dei poveri, di cui parliamo di rado, il cui tratto caratteristico è l'innocenza. Ho detto che noi non siamo in quelle condizioni, che noi dobbiamo pregare militando. Ma c'è un mondo dei poveri, e io l'ho conosciuto dall'interno – vorrei oggi tributare una mia riconoscenza ed ammirazione per ciò che mi insegnarono e perfino vorrei esprimere il pentimento per aver tradito l'insegnamento che ho avuto – c'è un mondo dei poveri che prega. Vive faticando la propria giornata senza precise consapevolezze, ma fermo nella propria speranza di un mondo di giustizia. E questa speranza si esprime nella preghiera insistente al Signore o ai santi. Dalla mia falsa altezza di uomo culturalmente illuminato, posso provare la tentazione di sorridere sulle cosiddette superstizioni popolari e io, certo, vorrei che il mondo dei poveri si cingesse i calzari, prendesse il bastone da viaggio e iniziasse il suo cammino di liberazione, perché l'ora storica è venuta. Ma la preghiera dei poveri, eletti da Dio perché poveri, è una forza di straordinaria importanza, oso dire una forza politica. Avrete fatto caso che i due brani della Scrittura di oggi che parlano della preghiera, hanno una inquadratura, in modo diverso, politica. Mosè che tiene le mani alzate sul monte mentre il suo esercito combatte contro i nemici fa una preghiera politica. Quando le mani sono alzate l'esercito vince, quando sono abbassate l'esercito retrocede. È un modo estremamente emblematico di collegare gli obiettivi politici di un popolo e la preghiera del suo capo. Il brano evangelico parla della preghiera come richiesta di giustizia, da parte di Dio, visto che gli uomini non riescono a realizzarla. Quindi anche qui la preghiera è politicamente finalizzata. I poveri invocano la giustizia da Dio: nella loro preghiera si effonde la loro utopia di fede. Essi sono sicuri che Dio li protegge. Spesso non hanno una crescita di coscienza che li porti ad una diretta battaglia politica, però la loro preghiera, virtualmente, è una forza che prepara lo sterminio e la dispersione del mondo dei loro sfruttatori. È nella preghiera che si mantiene la speranza. È nella sicurezza, per quanto ingenua, che il destino del mondo non è in mano ai potenti di questo mondo, anch'essi, più di quanto non sembri, pedine di un gioco che li sovrasta. Questa sicurezza è una grande forza storica, anche a prescindere, per un momento, dal giudizio di fede. Questo grido dei poveri arriva al cuore di' Dio, lo sappiamo. E, rimanendo in una prospettiva puramente etico-sociale, la preghiera dei poveri appare come una riserva di speranza in un futuro del mondo. È la dimostrazione che i poveri non si sono lasciati del tutto contaminare dalla sicurezza che ostentano le classi dominanti, non si sono del tutto lasciati soggiogare dai modelli di vita che vengono propagati anche in mezzo a loro. Pregare è prender le distanze da questo mondo, mantenere una propria identità nei confronti di un mondo che procede per le sue strade deridendo gli inermi.
Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 3