13 Ottobre 2019 – XXVIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
13 Ottobre 2019 – XXVIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
Se io incontro Dio nel mio rapporto con l'altro e con l'altro che è diverso e mi obbliga a spodestarmi, a liberarmi di me, a sentire la mia iniquità e la mia angustia, allora in quel momento io sono nel sentiero giusto per capire l'incomprensibile Dio, questo tu che si sottrae alla nostra presa ma che si avvicina a noi con il passo del diverso, del negro, del lebbroso, del reietto, del drogato, del delinquente.
PRIMA LETTURA: 2Re 5,14-17 SALMO: 97- SECONDA LETTURA: 2Tm 2,8-13- VANGELO: Lc 17,11-19
…Quando noi viviamo secondo i meccanismi della distinzione e dell' espulsione ci restringiamo nella nostra umanità: noi civili diventiamo barbari e tutti i comportamenti che un tempo avevamo ritenuto indegni dell'uomo, sono i nostri comportamenti. Lo vediamo: quelle culture che avevano spaziato con lungimiranza, con pretese di universalità nel mondo sia pure attraverso i crimini, e che in qualche modo miravano a realizzare nel mondo una condizione di umanità, di civiltà, di libertà, prese dalla paura si chiudono In se stesse e vivono secondo impulsi di espulsione, anche all’interno della loro composizione civile. Ho solo l'imbarazzo di fare riferimenti alla cronaca socio-politica di questi ultimi anni. Segno di decadenza, perché la nostra umanità si dilata nel momento in .cui l'altro invece che essere oggetto da espellere diventa soggetto che ci interroga. Questo è vero anche nelle modeste dimensioni del vivere quotidiano. Il rigetto dell'altro perché incomprensibile stende un velo di ignoranza su me stesso! Questo dramma che, secondo me, viviamo con progressione nonostante i veli di questa umanità euforica, rimette in questione soprattutto chi in questo rapporto con l'altro ripone il senso stesso della sua fede. Noi dobbiamo lasciarci turbare dagli altri turbare dai diversi. Questa è la via (quante volte l’abbiamo ripetuto ma non è mai troppo ripeterlo) per capire Dio. Se Dio lo capisco fuori di questo rapporto, egli è una proiezione della mia immaginazione o del mio intelletto, è un feticcio, di altissima fattura se volete, ma che non dice nulla perché non è un tu, è semplicemente un prolungamento del mio orgoglio individuale e collettivo. Il Dio feticcio della nostra religione tradizionale ha sancito tutti i soprusi. Se io incontro Dio nel mio rapporto con l'altro e con l'altro che è diverso e mi obbliga a spodestarmi, a liberarmi di me, a sentire la mia iniquità e la mia angustia, allora in quel momento io sono nel sentiero giusto per capire l'incomprensibile Dio, questo tu che si sottrae alla nostra presa ma che si avvicina a noi con il passo del diverso, del negro, del lebbroso, del reietto, del drogato, del delinquente. Questo Dio mette all'aria le fortezze della nostra sicurezza psicologica, irride le nostre filosofie e le nostre teologie ed i nostri riti ed i nostri sacrifici. Noi vorremmo averlo imprigionato, vorremmo poterci dire che quando siamo qui raccolti per la messa, Dio è con noi. Ma non è così. Se siamo soddisfatti, Dio è fuori, ci aspetta, diserta gli appuntamenti che gli diamo, perché ogni altro appuntamento è subordinato a questo. Non che non abbiano valore gli altri, ma quello dirimente è l'incontro con l'altro, con il diverso. Questo criterio, che è sufficiente da solo ad introdurre un aculeo nella coscienza e a renderla perplessa e umile, ha una sua forza creativa straordinaria. Ciascuno di noi – non è giusto nemmeno maltrattare la coscienza che ha anch'essa le sue vertigini e le sue paure e sarebbe segno di scarso discernimento gettarla nell'avvilimento – si muove sul crinale tra la sicurezza – che nel popolo ebraico è rappresentato dalla legge – e l'avventura verso l'altro verso la novità che viene attraverso la diversità. È il crinale che io vedo simboleggiato dai nove lebbrosi che vanno come Gesù aveva detto, ad eseguire le leggi, a presentarsi ai sacerdoti: entrano finalmente nella città della sicurezza. Erano espulsi ed attraverso l'eseguimento della legge rientrano nella città. Si sono soltanto integrati, non hanno percepito la novità, perché non sono stranieri del tutto. Invece un samaritano – la parola è forte, nel linguaggio ebraico, per noi non significa nulla: dite ateo un ateo professo – non si inserisce nel meccanismi della legge per trovar la sicurezza. che aveva un mondo che aveva perduto in quanto espulso. Egli va verso il suo benefattore con sentimento di gratitudine. Gesù vede in questo moto di gratitudine la novità della salvezza. La salvezza non è nel ritornare ai sacerdoti, nell’aver tutti i crismi, è nella disponibilità a riconoscere il dono ricevuto, è quindi la noncuranza, relativa, di quelle garanzie di sicurezza rappresentate dal reinserimento nelle procedure della legittimazione, della normalizzazione. Questo è il crinale su cui noi siamo. Io penso che tutte le nostre tristezze sono dovute alla incapacità di percepire la novità, l’evento non previsto dalla legge e non sottoposto a nessuna garanzia se non a quella della coscienza. Questo Samaritano solitario, che si sottrae al gruppo e va per gratitudine verso chi lo aveva salvato, è il simbolo della creatura che Gesù predilige perché appartiene alla grande schiera delle beatitudini. È povero di spirito, umile. è un puro di cuore, è pacifico, vive cioè in questo mondo come uno straniero…
Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” vol. 3