5 Maggio – 2019 – III DOMENICA DI PASQUA – Anno C
5 Maggio – 2019 – III DOMENICA DI PASQUA – Anno C
O noi usciamo dalla logica della forza o non ci salviamo. Lo so, questo discorso è difficile e deve poi tener conto della realtà politica. Ma a me premeva rispondere alla provocazione che mi è venuta da queste parole «voi fate ricadere su di noi il sangue di quell'Uomo». Su ogni potere – in quanto opprime – cade il sangue degli oppressi. Non c'è dubbio.
PRIMA LETTURA-At 5,27b-32.40b-41- SALMO -2- SECONDA LETTURA –Ap 5,11-14- VANGELO- Gv 21,1-19
Il discorso del Signore a Pietro, e cioè a tutta la Chiesa, che l'Amore non si ha davvero, se non si è pronti a dare la propria vita e quindi ad abbandonare il criterio della salvezza dei propri diritti e della competizione con gli altri, è un discorso che diventa sempre più perentorio. Fate caso a come, dinanzi ai problemi che nascono – terribili – nella società di oggi, dalle minacce di guerra mondiale e dalle cronache nazionali, la sapienza costituita non sa dire niente. Anche un papa quando parla di terrorismo, che ci dice? Cose che leggiamo sui giornali di una tendenza o dell'altra. Non c'è parola sapienziale. E non che egli la possa dire: chi può dargli questa potenza? Ma se io vivo nelle sfere del potere, non sono più in grado di parlare: questo è il dramma! Se io sono complice di una delle parti, di quella del potere – vi ricordate i due versanti di cui dicevo all'inizio? – come faccio a predicare all'altro versante? Con quale purezza lo farò? Con quale credibilità lo farò? Ecco perché lo star zitti – a volte è una grande saggezza. Possono parlare soltanto le vittime; e io posso farmi esegeta di quel che loro dicono. Non con una dottrina nuova (che non ho) perché non saprei dare un consiglio a un ministro degli interni: sono assolutamente incapace di dire che cosa si può fare. Però mi riservo il diritto di esprimere giudizi morali ed evangelici, su questo mondo, su questa Chiesa, su questa società, perché non avvenga che si creda che versare il sangue da una parte è giusto, e dall'altra è ingiusto; perché si capisca che siamo dentro una logica in cui gli oppressori che oggi versano il sangue altrui ieri erano gli oppressi, e magari hanno versato il proprio. O noi usciamo dalla logica della forza o non ci salviamo. Lo so, questo discorso è difficile e deve poi tener conto della realtà politica. Ma a me premeva rispondere alla provocazione che mi è venuta da queste parole «voi fate ricadere su di noi il sangue di quell'Uomo». Su ogni potere – in quanto opprime – cade il sangue degli oppressi. Non c'è dubbio. Come nell' America Latina il sangue versato dal Vescovo Romero, cade ormai su tutto un regime, su tutto un continente e sul sopracontinente che regge i destini dei sottocontinenti. Quel sangue cade addosso. Macchia. E noi sappiamo che siamo tutti responsabili del sangue versato. Chi ha la mia età è responsabile, in qualche modo, dei silenzi, delle tolleranze, di quando ci fu l'ultima guerra. E non basta guardarsi le mani e dire: «io non ho ucciso nessuno», perché in mille modi abbiamo sostenuto quel che è avvenuto. Questo senso di responsabilità che io riferisco nella mia fede al segno della crocifissione, ci obbliga a stare di fronte al futuro con molto coraggio e forza, senza lasciarci intimidire da nessuno; sapendo che questo non ci dà il diritto a vociferare in ogni settore. Questa mia delimitazione del discorso non è prudenziale: è un' atto di ossequio alla verità. Io rispetto coloro che nella magistratura lavorano; quelli che nella polizia si dan da fare. Non posso non rispettarli. Però non posso non chiamarli a questo sentimento di angosciosa corresponsabilità; perché non ci avvenga di scaricare tutta l'iniquità del nostro sistema su coloro che sono nella più tragica illegalità, perché non si facciano le ricostruzioni della criminalità pubblica, andando sempre ad addossarne le responsabilità prime agli altri, a quelli che la pensano diversamente, a quelli che hanno altre idee. Tutti noi siamo dentro la responsabilità. E chiunque ha esercitato il potere in questi anni – fino a prova contraria – è un complice anche della criminalità. Quante esigenze di trasformazione di questo mondo ho visto nascere con i miei occhi! Quante nobili passioni giovanili ho visto sbocciare sul piano politico, che si sono trasformate in delusione rabbiosa! Quante richieste giuste degli oppressi, dei disoccupati, degli emigrati, dei senza casa, sono state fatte, e nessuna risposta! E chi può sentirsi immune da quel sangue? Chi può poi alzare il dito, con farisaica sapienza, per dire che i responsabili del crimine sono questi o quelli? Chi ha taciuto, chi non si è dato da fare per trasformare questa società secondo ragione, è colpevole. E questo il discorso della denuncia profetica evangelica. Poi a ciascuno prendersi il peso delle sue responsabilità operative, che io non voglio annebbiare o disconoscere, ma purché la coscienza da cui si parte, sia questa, inquieta, seria, responsabile, non pronta a puntare il dito, ma pronta a darsi da fare perché la società sappia più di amore e meno di dominio e di sopraffazione. Ecco il discorso cristiano, appena avviato. Qui devo chiuderlo. È un discorso di fede, ricostruito nel suo tessuto, ripreso dalla concretezza drammatica a cui è legato. Non è un discorso di dottrina ma di fatti che la dottrina aveva sottaciuto. Quante volte ci si è parlato della crocifissione come di un simbolo devozionaIe per esprimere buoni sentimenti e per sopportare le mortificazioni della vita! Mentre essa è un terribile segno che scuote le fondamenta del mondo ora e sempre. C'è anche una dottrina ideologica che cerca di espungere dal Vangelo ciò che turba l'esistenza ordinata secondo il nostro criterio. Ecco, rifarsi alla Parola di Dio, nella sua forza, non vuol dire acquistar diritto di accusare gli altri, divenendo paradossalmente farisei mentre si parla contro i farisei, vuol dire acquistare un senso comune di pietà, di penitenza, di pentimento e insieme la volontà di non lasciarsi catturare dalle facili sapienze della piazza. Può venire l'ora in cui coloro che sanno spiegare tutto, si immergeranno nella confusione. Non dimenticatevi che sulle nostre teste passano giochi diplomatici che ormai sanno di guerra. E quindi ognuno – come dice il Signore – «venda il mantello e compri una spada», cioè lasci la comodità e si impegni, perché gli sarà chiesto conto di ogni goccia di sangue.
Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 3