23 Dicembre 2018 – IV DOMENICA D’AVVENTO – Anno C
23 Dicembre 2018 – IV DOMENICA D’AVVENTO – Anno C
È un fatto da considerare positivo, se noi non rimaniamo prigionieri della religione degli olocausti e dei sacrifici, ma ci collochiamo lungo la linea creazionale in cui si colloca la Scrittura di oggi. Dio che crea le cose e prepara il Corpo del Cristo per offrirlo al mondo come sacrificio, cioè come oblazione di pace, come indicazione della via della salvezza.
PRIMA LETTURA: Mic 5,1-4°- SALMO: 79- SECONDA LETTURA Eb 10,5-10- VANGELO: Lc 1,39-45
…La nostra fede si sta trasformando sulla spinta delle cose, non semplicemente per ardimenti nostri. La spinta delle cose non è semplicemente un meccanismo deterministico della storia ma una specie di linguaggio del disegno di Dio. Certe evenienze storiche (come, poniamo, la secolarizzazione dell'esistenza che è un tratto del nostro mondo) non sono da considerarsi estranee ad una specie di linguaggio di Dio. La storia non è la materia su cui Dio agisce, ma è essa stessa portatrice di significati di salvezza. Alcune modificazioni storiche grandiose, che interpellano la coscienza, non sono materia da trasformare, sono messaggi da intendere. È un fatto che nel nostro tempo (e questo, a mio giudizio, è un aspetto sicuramente positivo: un segno da inserire in quel dialogo segreto con Dio che è l'intima essenza della vita del credente) la vita è sentita, nei momenti migliori, come un compito da assolvere al servizio della pace nel mondo e della liberazione degli uomini. Questo fatto fa cadere pareti religiose, fanatismi sacri, toglie i piedistalli alle piramidi sacre. È un fatto da considerare positivo, se noi non rimaniamo prigionieri della religione degli olocausti e dei sacrifici, ma ci collochiamo lungo la linea creazionale in cui si colloca la Scrittura di oggi. Dio che crea le cose e prepara il Corpo del Cristo per offrirlo al mondo come sacrificio, cioè come oblazione di pace, come indicazione della via della salvezza. Questo fatto evidentemente trascende i particolarismi sacri di cui l'uomo è stato collettivamente così fecondo nella storia. Ebbene, collocarci a questa altezza significa ritrovare il filo vero del discorso di Dio sul mondo, del suo progetto. Significa ritrovare i ritmi della salvezza ovunque l'uomo viva nell'obbedienza al Padre. Ma cos'è questa obbedienza? Questa obbedienza al Padre è conformità al suo disegno che è quello della pace che domina fino ai confini della terra. Il disegno di Dio non ha come suo oggetto un paradiso extramondano, ma l'intera creazione assunta fino ai livelli delle sue possibilità originarie. Dio ha creato il mondo perché non ci fosse la morte non ci fosse la guerra, non ci fossero le divisioni. Questo linguaggio profetico, che echeggia continuamente nella coscienza del credente, noi oggi possiamo anche realizzarlo in orizzonti relativi, possibili alla nostra responsabilità morale. Chi vuole la pace obbedisce a Dio. Anche se egli gli ha detto di no, se vuole la pace se si immola per la pace, costui è obbediente a Dio, vive nel sacrificio unico di salvezza. Chi passa i suoi giorni preoccupandosi della giustizia, anche se nell'incertezza e nella perplessità e nella relatività inevitabili di ogni progetto umano, costui è immerso nella realtà del Cristo che non è un personaggio sacro, riservato al culto ed alle dilettazioni interiori degli specialisti e degli uomini religiosi. Egli è il Figlio dell'uomo, la sua presenza è vasta come l'esperienza dell'uomo, visto che il prologo da cui scaturisce il disegno di salvezza avviene nel cielo, cioè prima della creazione. Il disegno di Dio non è riservato al popolo di Israele, al mondo cattolico e al mondo cristiano è riservato a tutti gli uomini. Questo modo di leggere l'obbedienza a Dio negli atti in cui gli uomini – sia pure nella relatività delle loro percezioni interiori e delle loro dottrine – perseguono la pace, non è una infedeltà al cristianesimo. Non è un uscir fuori dall'ortodossia, come molti temono; e un ritrovare il bandolo del discorso di Dio alle sue origini: trovarlo al di là delle diversità confessionali. Perché il cristianesimo – ripetiamolo con forza – non è una religione fra le religioni (e se lo è, è semplicemente perché gli uomini l'hanno relativizzato all'interno de!l'esperienza storica); il cristianesimo, nella sua essenza, e la rIvelazione del significato dell'esistenza dell'uomo in quanto tale con un riferimento privilegiato e normativo al Cristo della Croce che ha offerto se stesso per la salvezza degli uomini. Ed è in questa dinamica che dobbiamo ricollocare tutti gli eventi, tutte le testimonianze della storia. Ci sarà facile allora riconoscere che molti uomini che han passato la vita soltanto nel sacrificio e nel culto, erano lontani dall'obbedienza a Dio; e molti uomini che non hanno mai frequentato un tempio, erano inerenti al disegno di Dio. È il paradosso del Vangelo. Riletto secondo questo spirito, il Vangelo acquista una luce singolare, perché Gesù non fa mai l'esaltazione degli uomini del tempio: anzi, li mette sempre in imbarazzo. E nemmeno degli ortodossi di Israele, perché il modello più singolare della sua vita Egli lo ha proposto nella parabola del Samaritano che era, appunto, un eretico, sfuggito dagli ebrei ortodossi come lo scomunicato. Questo ristabilimento della universalità del messaggio è la nostra passione ed è la nostra tribolazione…
Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” vol. 3