23 Settembre 2018 – XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO
23 Settembre 2018 – XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO
Si può vivere negli elementi del mondo senza sposarli, senza farli nostri, vivendoli al più come si vive in una inevitabile necessità con la speranza che la necessità passi e cominci il regno della libertà, che, a pensarci a questo livello, non è un regno esistente ma è solo un regno possibile verso cui andiamo. Se ci andiamo!
PRIMA LETTURA: Sap 2, 12.17-20- SALMO: 53- SECONDA LETTURA: Gc 3,16-4,3- VANGELO: Mc 9, 30-37
Nella Scrittura di oggi c'è il confronto che, a mio giudizio o secondo la mia esperienza, è l'unico modo in cui è possibile, in qualche maniera, mostrare il Dio di Gesù Cristo, indicarne i caratteri, i tratti che ci mettono in questione e esigono da noi non la risposta degli intelligenti ma la risposta del semplice di cuore. «Grazie, o Padre, perché queste cose le hai nascoste agli intelligenti e le hai rivelate ai semplici ». Non ci dimentichiamo che il bambino preso in braccio da Gesù non è il simbolo, caro alla letteratura romantica, dell'innocenza, dell'età semplice; è il simbolo della creatura inerme, che è vicina alle sorgenti dell'esistere e quindi porta in sé, nella sua germinale infinità, i possibili sviluppi della vita e in qualche modo, nell'ordine delle possibilità, apre un ventaglio in cui si rispecchia il mistero delle infinite possibilità di Dio. Nel bambino c'è questo. E c'è, proprio in corrispondenza di questa fragilità, una debolezza estrema, tanto che nel linguaggio antico «puer et servus», bambino e schiavo, avevano lo stesso valore semantico. Il bambino è l'inerme, non esiste se non ci sono altri, ha in sé una incapacità di regolarsi secondo ragione, non ha assimilato le strutture razionali che fanno di noi uomini adulti e quindi indica il lato negativo della nostra organizzazione di civiltà. L'indicazione di Gesù vuole essere una contestazione del mondo dei sapienti, dei potenti, dei ricchi che gestiscono la realtà storica. Questa dialettica nel linguaggio improntato al solenne moralismo della lettera di Giacomo serve a disegnare lo scarto, come tra bianco e nero, della due forme di saggezza. Quella che, come dice Giacomo, viene dall'alto, e quella degli uomini. Secondo la rappresentazione di tipo cosmologico dei rapporti fondamentali dell'esistenza, ciò che non viene dall'uomo si diceva che viene dall'alto. Noi possiamo dire che viene dal profondo: non ha importanza la collocazione spaziale. viene da «altro», viene da altrove, questa sapienza che non è nemmeno una sapienza consigliabile come pedagogia familiare, tanto è lontana perfino dalle regole del saper vivere. Ad esempio: questi apostoli, che dopo aver avuto una pedagogia come quella di Gesù Cristo, perdono il tempo a discutere di chi è tra loro il più grande, hanno una sapienza che noi conosciamo benissimo. La nostra società è fatta di carriere, di scatti… c'è bisogno di distinguere, di far conto sull'emulazione, che è la grande molla della vita sociale e che se si spezzasse cadremmo tutti nell'inattività. Non voglio deridere questa civiltà di cui l'emulazione e la competizìone costituiscono la molla, vorrei però dichiarare, per mia liberazione interna, il carattere di schiavitù insopportabile. Si può vivere negli elementi del mondo senza sposarli, senza farli nostri, vivendoli al più come si vive in una inevitabile necessità con la speranza che la necessità passi e cominci il regno della libertà, che, a pensarci a questo livello, non è un regno esistente ma è solo un regno possibile verso cui andiamo. Se ci andiamo! Questa sapienza che viene dall'alto – ma così consona a ciò che in noi è attesa, presentimento, che possiamo dire che è nostra – «è una sapienza pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia, che semina nella pace dalla quale vengono frutti di giustizia». L'altra sapienza l'abbiamo a portata di mano, tutti i giorni ne viviamo ed ha la sua sacra bibbia nei giornali del mattino. «Voi bramate e non riuscite a possedere e uccidete, invidiate e non ottenete, allora combattete e fate guerra». Queste sono le due sapienze scritte nel mio cuore, nella pagina bianca e nella pagina nera; non ho diritto di puntare il dito contro qualcuno, in quanto le ho in me e voi le avete in voi. Si vive nel tempo secondo le regole – mi è venuta l'immagine – della pagina nera. Se venisse meno in noi la competizione, cadremmo nella ignavia. A meno che non fossimo in grado di creare una vita suggerita dall'altra sapienza, come, ad esempio, fece Francesco d'Assisi, che avendo vissuto con l'etica di suo padre, Bernardone, commerciante, probabilmente onesto, ne usci fuori e creò una vita diversa ispirata a questa antitesi evangelica, creando sconvolgimenti notevoli, tanto che si affrettarono, i sapienti di tutti i livelli, a metterlo tra parentesi e sistemare anche lui nella memoria della nostra cultura. Scegliere l'altra sapienza vuoi dire essere di imbarazzo perché si mutano le cifre della tavola pitagorica dell'esistenza; si entra dentro ai suoi principi portanti e si cambiano.[…] Aprire l'anima agli sgomenti della natura e della storia vuoi dire non vivere in zone di sicurezza, non creare in noi delle strutture di alienazione su cui riposare tranquilli, ma lasciarsi invadere dai flutti, dagli uragani e entrare così nella giustizia. La via lungo la quale possiamo cogliere il bagliore del roveto è quella in cui ci confrontiamo con Dio, così come Gesù si è confrontato con i suoi. I discepoli, le colonne della chiesa, erano ormai alla conclusione della loro pedagogia ma non avevano capito nulla. Gesù li avvia verso l'ultima esperienza della croce. Di fronte a certi interrogativi si ricomincia sempre da zero. Ognuno di noi da inizio al mondo e lo conclude. In questo confronto possiamo allora scoprire da che parte è il vero volto di Dio.
Ernesto Balduccì – "il Vangelo della pace" – volume 2° anno B