31 GENNAIO 2016- 4^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
31 GENNAIO 2016- 4^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
La nuova maniera di vivere la vocazione cristiana è il primato dell’amore che intreccia nel mondo quella comunione tra le creature. Il vero obiettivo dell’annuncio di Gesù Cristo non è di fare una chiesa, ma di fare una umanità, di cui la Chiesa è segno e strumento.
PRIMA LETTURA: Ger 1,4-5.17-19- SALMO: 70- SECONDA LETTURA: 1 Cor 12,31-13,13- VANGELO: Lc 4,21-30
…Giunti come siamo all’ultima sponda della civiltà dell’odio dopo la quale c’è l’abisso del morire collettivo, siamo portati a ripercorrere, come in una anamnesi medica, tutta la struttura storica del genere umano e percepire i luoghi in cui si è sedimentato questo veleno dell’odio: rapporti uomo/donna, rapporto uomo/natura, rapporti di classe, rapporti fra i popoli… Noi vediamo che nelle giunture c’è questa oscura solidificazione dell’odio diventato struttura, modo di agire, di pensare. Allora la carità diventa una virtù – uso il termine nel modo contestuale al mio discorso – rivoluzionaria, costruttiva. Mette in luce tutto ciò che di positivo, di conforme all’amore c’è nel mondo. La carità ha questo di proprio, che anche nel guardare l’uomo più efferato, che ispira risposte violente, riesce a scorgere il residuo di amore che c’è in lui. Anche nel delinquente che non ha, di fronte ad un tribunale umano, nessuna attenuante, la carità riesce a scorgerla scintilla residua che potrebbe divampare. La carità è contagiosa. Se mandate un uomo zeppo di virtù e con grande senso di giustizia di fronte a d un peccatore, ad uno che ha commesso crimini, il delinquente si consolida nella sua negatività per una specie di naturalità dialettica. Di fronte ad un virtuoso troppo virtuoso ci affezioniamo ai nostri difetti, Ma se l’amore ci guarda dentro, suscita in noi le potenzialità represse e menomate dalla nostra degenerazione: l’amore cambia il mondo. È questa la logica della nonviolenza. La nonviolenza non è solo un metodo per rispondere nei conflitti, è anche un modo di conoscere il lato non violento che c’è anche nell’uomo più violento. Essa veramente può cambiare i rapporti intersoggettivi senza molte parole e senza provvedimenti di legge, ma per pura propagazione esistenziale del valore dell’amore. La nuova maniera di vivere la vocazione cristiana è il primato dell’amore che intreccia nel mondo quella comunione tra le creature. Il vero obiettivo dell’annuncio di Gesù Cristo non è di fare una chiesa, ma di fare una umanità, di cui la Chiesa è segno e strumento. Se c’è un motivo di serenità nel guardare la realtà storica di quest’ultimo scorcio è che la razionalità della forza e del fanatismo appaiono sempre di più infondate e quindi si squalificano da sé. Nei rapporti tra i popoli l’esigenza di abbattere le pareti, i muri, di disarmare, di moltiplicare gli scambi culturali è una esigenza nel segno dell’amore. Sul piano personale il nuovo rapporto uomo/donna, il bisogno di rispettare la natura perché essa non sia contaminata e resa violenta dalla nostra violenza rientrano nelle esigenze dell’amore. La parola «cristiani» può essere pronunciata in due modi: uno di differenziazione – quando dico cristiani penso a quelli che non lo sono e mi distinguo da loro – un altro invece in cui la parola indica un’apertura a tutti gli uomini. Questo era il sentimento del Signore, Attorno a lui si sono sempre alzate siepi di fanatici, durante la sua vita, e dopo che Egli è scomparso il fanatismo istituzionale lo ha come seppellito in un recondito spazio dove soltanto la forza delle coscienze ha potuto raggiungerlo. È un miracolo storico che egli non sia rimasto chiuso nella tomba dei fanatismi dei nazareni. In questa frase del Vangelo – «passando in mezzo a loro se ne andò» – ho sempre colto, anche visivamente un segno stupendo del mistero di Gesù. Gesù è passato in mezzo a noi e se n’è andato. Questa parola, se non fosse presunzione, potrei annunciarla in molti luoghi dove ci sono tutti i segni del Cristo. Potrei dire: se n’è andato! Se n’è andato lontano dove la logica dell’amore vive, dove la speranza non è retorica domenicale.
Ernesto Balducci – da “Gli ultimi tempi” volume 3 – anno C (1988/89)