22 NOVEMBRE 2015 – FESTA DI CRISTO RE – 34^ TO – Anno B

22 NOVEMBRE 2015 – FESTA DI CRISTO RE – 34^ TO – Anno B

22 NOVEMBRE 2015 – FESTA DI CRISTO RE – 34^ TO – Anno B

 

Combattere con la spada non è secondo verità. È secondo una verità provvisoria, che poi è sempre contraria a se stessa. In fatti la nostra storia intera è solcata da fiumi di sangue tutti versati in nome del principio che senza una spada un regno non si regge. La conseguenza è che siamo sempre in guerra.

 

PRIMA LETTURA: Dn 7,13-14- SALMO: 92- SECONDA LETTURA: Ap l, 5-8 VANGELO: Gv 18, 33b-37

 

Gesù non ha detto: vengo a predicarvi la verità, ma Egli ce la testimonia, cioè il suo essere è un segno di questa diversità, di questo regno diverso che è in ognuno di noi. Chiunque viene dalla verità arriva al regno, perché nel regno di Gesù è cittadino chiunque assecondi la verità che ha in sé. Il termine verità, nella nostra cultura, è come una moneta di metallo, risuona. Lo scienziato sa cosa è la verità: la sua. Il filosofo ha la sua e il teologo ha la sua. Tutti sanno cosa è la verità, ma ahimè essa è costruita con la lega del metallo corruttibile della cultura esistente. Anche la più stupenda filosofia è fatta di leghe corruttibili. La verità di cui parla Gesù non è una verità oggettiva, misurata, sottomessa alle verifiche; ma è una verità «dentro», è una verità che parla ed ha le sue precise esigenze. Non è una verità quella di cui ciascuno fa quello che vuole. Nel mondo di cui siamo figli se appena dico che ognuno deve seguire la sua coscienza è come se dicessi che ognuno può fare il suo capriccio, in quanto nel mondo in cui si è vissuti coscienza e arbitrio sono la stessa cosa, dato che quel mondo ha bisogno di verità misurabili, constatabili, affermabili e sottoponibili al controllo. Siamo diseducati. Quando dico: ciascuno si regoli secondo coscienza non do una norma concessiva ma do una norma severa. La verità è, in noi, ciò che la coscienza ci propone in assoluto. È in essa che la vita acquista la dignità che trascende il tempo. Combattere con la spada non è secondo verità. È secondo una verità provvisoria, che poi è sempre contraria a se stessa. In fatti la nostra storia intera è solcata da fiumi di sangue tutti versati in nome del principio che senza una spada un regno non si regge. La conseguenza è che siamo sempre in guerra. Quando voglio dare dei nomi a questi contenuti – che non sono rigidi e fissi ma prendono forma, esigenze specifiche a seconda dei luoghi e dei tempi – dico giustizia, dico rispetto della persona altrui, dico pace, dico parole che danno nomi molteplici a questa verità unica di cui Gesù è il testimone. Per esempio: non fa parte di questa verità unica il dire che quando uno ha un regno se lo deve difendere con la spada. Gesù dice a Pilato: se il mio regno fosse come il tuo, i miei avrebbero combattuto. Combattere con la spada non è secondo verità. È secondo una verità provvisoria, che poi è sempre contraria a se stessa. In fatti la nostra storia intera è solcata da fiumi di sangue tutti versati in nome del principio che senza una spada un regno non si regge. La conseguenza è che siamo sempre in guerra. È la verità friabile a cui mi assoggetto anch'io, perché anch'io faccio parte del regno di questo mondo, anche se con l'esigenza di smontarlo perché si adempia il regno fondato sulla verità che tutti sentono, nonostante che essa sia deformata, avvilita, direi svergognata dalla verità pubblica. Dobbiamo esser fedeli alla verità interiore perché è qui che si entra nel regno. Il regno di Gesù non ha caratteristiche religiose, convenzionalmente parlando. Chi sono i cittadini di questo regno? Tutti coloro che vengono dalla verità. Noi li vediamo ogni tanto, ma solo Dio li vede tutti. Non ne possiamo fare l'anagrafe. Quando si conta, si sbaglia, perché contare vuoi dire obbedire ad una esigenza quantitativa, mentre la nostra esigenza è qualitativa. Siamo tanti in tutto il mondo, siamo (per un momento, per necessità retorica mi ci metto anch’io), siamo tanti a rendere testimonianza di questa verità nel mondo. Abitare in questo regno vuol dire vivere in comunione con tutti i nostri concittadini, che sono quelli che, invece, non hanno molta possibilità di essere accolti nel regno terreno, di cui sono cittadini in senso anagrafico e pubblico: i vecchi, i malati, i bambini, gli inermi, gli handicappati… È una compagnia non molto efficiente, ma l'efficienza è criterio del regno di questo mondo. il regno di Gesù dà testimonianza non di questo mondo. La sua diversità prende corpo e trova il suo luogo di sintesi storica e di riferimento operativo nella pace. Questa è la pace. Una pace che pesi sulle spalle di qualcuno non è una pace, una pace che comporti – per esempio – il proseguimento delle spese per mantenere l'equilibrio e quindi affami mezzo mondo, non la chiamate pace. La pace implica tante cose. Non è un passo opportunistico diverso dal passo opportunistico di ieri. C'è da temere sia quanto i titolari del potere si litigano sia quando si danno la mano. Non per nulla Gesù fu crocifisso quando Pilato ed Erode fecero la pace su di Lui, sulle sue spalle. Si riappacificarono perché avevano eliminato un disturbatore. Se ci diamo la mani con la rivoltella in tasca e ci rispettiamo perché sappiamo di avere lo stesso numero di pallottole, le parole più pure cadono in un contesto terribile. Questo è il peccato. E la condizione che è nostro compito modificare, con pazienza di secoli magari. La cittadinanza da cui siamo consolati è un'altra, quella del regno che non avrà mai fine per secoli eterni. Gli altri passano, cambiano titolari e finiranno, ma questo regno, di cui ho parlato sulla falsariga della indicazione evangelica, è eterno ed è diffuso fra tutte le genti.

 

Ernesto Balducci da "Il Vangelo della pace" vol 2- anno B (1981/82)

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