4 Ottobre 2015 – XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B
4 Ottobre 2015 – XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B
Lo sgomento ci prende, tutti i giorni per quello che avviene qua e là nel mondo, però non ci rassegniamo. Se fossimo rassegnati noi perderemmo, in un solo momento, il segno della creazione, cioè quello che secondo la Bibbia, è il nostro essere fatti a immagine e somiglianza di Dio.
PRIMA LETTURA: Gn 2, 18-24- SALMO: 127- SECONDA LETTURA: Eb 2, 9-11- VANGELO: Mc lO, 2-16,
Sono lontani i tempi in cui era possibile, senza conflitto con la cultura rappresentarsi le origini dell'uomo come illuminate da un sigillo di perfezione, guardare all'Eden come al momento originario della storia dell’umanità, da cui poi la storia sarebbe precipitata verso il basso a causa del peccato e a cui sarebbe rinata attraverso la fatica morale dell'uomo. La scienza ci ha abituati a vedere le origini come dissolte in una catena di generazioni pre-umune e appena umane, per cui non c'è un momento, così la storia ci dice, nel quale poter collocare miticamente una pienezza dell'uomo. Noi siamo costretti a ribaltare i rapporti e ad immaginare l'Eden non come un punto del passato ma come un punto del futuro, se arriveremo. É passato il tempo in cui si poteva parlare dei bambini proiettando in loro tutte le nostre frustrazioni, immaginandoli innocenti, simbolo di bontà che poi si smarrisce lungo la strada. La scienza ci mostra che anche i bambini sono dentro la morsa del male, anzi i conflitti psicologici che gli adulti vivono si sono tutti intrecciati in quell'età che noi ingenuamente chiamiamo innocente. La ragione, ovunque va, stende la tela delle nostre miserie, allarga le dimensioni del nostro deserto. Non c'è luogo, né nell'infanzia dell'umanità – punto di riferimento mitico di filosofi e di uomini religiosi – , né nell'infanzia individuale in cui si possa rintracciare un modello adatto a noi. E questa la caratteristica di quello che noi chiamiamo «il mondo adulto», senza dare al termine nessun connotato di valore. Siamo adulti perché non abbiamo illusioni, perché quando un sogno parte da noi, come la colomba dell'arca, ci deve ritornare addosso. Non c'è posto dove si possa posare. Questo è vero anche storicamente. La classe operaia ha pensato a dei paesi in cui finalmente si era realizzato il suo sogno: tutti i sogni ritornano a casa! Ecco la nostra condizione. Pensavo a questo nel tentativo di far nascere, dall'interno di queste pagine, un messaggio.[…] Se non avessimo il cuore duro, certe esigenze o certi ideali che ci siamo rappresentati, secondo i tempi, come condizione originario o come innocenza noi li potremmo vivere semplicemente con l'impulso della nostra spontaneità. C'è un amore che, se è vero amore, non ha leggi fuori di se stesso. A rigore, il vero amore tra un uomo ed una donna non dovrebbe avere nessuna legge. Se la legge c'è, è per la durezza del cuore. Potremmo anche dire: perché, in realtà l'uomo e la donna non si amano! Quel vincolo, che nel momento dell'ingenuità affidiamo alle forze intriseche dell'amore, in realtà va affidato alle disposizioni coattive della legge. Altrimenti tutto crolla. Il problema che Gesù si pone non è quello, tante volte rimbalzato nei nostri dibattiti politici, se il matrimonio è indissolubile o no. Per Gesù da principio – Egli parla sempre come «da principio» – l'uomo e la donna si amano perché si amano. L'amore è la loro legge. Non ha bisogno di codice in quanto il codice appartiene a questa lunga stagione della storia – lunga come la storia – che è la durezza del cuore umano. Il quale, per un verso – ed ecco la sua nobiltà – è capace di rendere esplicita, come una fioritura incessante, la potenza primordiale della creazione. L'uomo sa cosa sarebbe amare, sa che cosa sarebbe una società pacifica. E lo sa non per poesia, ma per un magistero morale interno a se stesso, altrimenti saremmo tutti delle bestie. Lo siamo, ma non ci rassegniamo ad esserlo. Lo sgomento ci prende, tutti i giorni per quello che avviene qua e là nel mondo, però non ci rassegniamo. Se fossimo rassegnati noi perderemmo, in un solo momento, il segno della creazione, cioè quello che secondo la Bibbia, è il nostro essere fatti a immagine e somiglianza di Dio. Questa potenza primordiale dell'utopia morale è il nostro tesoro più bello.[…] Ovunque si guardi, la contraddizione che il Vangelo ha sempre illuminato e che ha trovato carne, volto e linguaggio nel figlio dell'uomo, Gesù Cristo, noi saremo nella disperazione. Quella voce non è una voce isolata. Dobbiamo abituarci a pensare anche a Gesù non come ad un nume, ma come al figlio dell'uomo che parla con le parole che tanti hanno detto e dicono e che noi riconosciamo aver trovato pienezza di esempio, di testimonianza nella sua vita e nella sua morte. Come tante volte si è detto, la sua morte è il luogo principale di dimostrazione di che cosa è la civiltà della durezza di cuore. L'altra «civiltà», che chiamiamo regno di Dio e che ha trovato in Gesù la sua presenza insopprimibile, ha dalla parte sua l'impegno a liberarci dalla morte. Gli uomini della durezza del cuore crocifiggono il bambino, ma Dio lo libera. È l'atto di fede per eccellenza, perché la storia è chiusa dentro un arco dove Gesù muore, è chiusa dentro un arco in cui il giusto è messo in croce e Pilato e Caifa vanno a cena insieme! La storia sembra chiusa. Però non è così. E non è così nemmeno oggi che siamo costretti, domenica dopo domenica, a tenerci nell'anima notizie di cronaca che sconvolgono. E vero: la storia è in mano loro, ma non del tutto! Voi capite, allora, come la speranza (e vorrei chiudere con questa riflessione che tante volte faccio ma mi pare richiesta dalle circostanze) diventi una cosa sola con la fede. Essere convinti che nonostante tutto la civiltà della durezza del cuore non vincerà e che l'altra parte dell'uomo avrà predominio, significa compiere un atto di fede che equivale all'atto di fede nel Dio di Gesù Cristo.
Ernesto Balducci – Il Vangelo della Pace – Vol 2 anno B