NATALE 2014

NATALE 2014

 

NATALE 2014

 

Siamo in un momento della nostra esperienza comune in cui è necessario, anche se difficile, correggere le tradizioni, comprese quelle più profondamente radicate nella psicologia personale e collettiva, come il Natale. Bisogna ritrovare, al di là di quelle tradizioni, il messaggio che esse hanno trasmesso (e a volte perfino contaminato) e che oggi ritrova una sua attualità profonda. Il Natale era una specie di pausa euforica nella serie dei giorni, un momento in cui si faceva finta , per convenzione pubblica, che non ci fossero guerre (al fronte si smetteva di sparare) e che gli uomini fossero tutti fratelli, e che la generosità fosse un costume. Questa pausa ci dava come un’immagine la-bile, sulla cresta delle onde che se ne vanno, di come potrebbe essere il mondo se fosse un mondo fraterno. Questo riflesso di utopia religiosa non serviva a cambiare proprio un bel nulla. Dopo un giorno di pausa le armi continuavano a funzionare. La lotta per la vita che solo ai forti concede di emergere, riprendeva secondo le sue eterne leggi. Oggi non siamo così ingenuo da prendere sul serio questi momenti. Anche il consumo rientra nella legge della competizione; ciò che riempie le nostre tavole è uno strumento e un simbolo di lotta, della lotta economica. Non siamo più tranquilli. Questa perdita della buona coscienza è un fatto triste per un verso, perché non ci permette illusioni, ma è anche un fatto che ci obbliga a ricercare più a fondo, a fare una scelta: la scelta tra le tradizioni e la parola di Dio, nella sua assolutezza, nella sua superiorità ai mutamenti del tempo. Dobbiamo ammettere, oggi, più che ieri, che se Gesù non è il figlio di Dio, allora non sappiamo nemmeno chi è Dio. «Dio nessuno l’ha mai visto», abbiamo ascoltato, «soltanto il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre ce lo ha rivelato». Ormai è evidente che il Dio delle tradizioni è un Dio impotente e insignificante. O è il Dio della fede, il Dio che si ritrova attraverso la parola del Figlio dell’uomo, oppure questo Dio rimane un sublime concetto o addirittura uno strumento ideolo-gico, ma non dice niente al nostro cuore. C’è un’altra verità correlata a questa: noi non conosciamo l’uomo. Siamo in un momento in cui è ben visibile lo spasimo delle coscienze alla ricerca del bandolo dell’esistenza. Che significa essere uomini? Abbiamo l’impressione di vivere tra la preistoria e la storia. La preistoria vive ancora ed è quella che basa la nostra vita personale e collettiva sulla volontà di potenza, sulla legge della competizione. Tutto è organizzato secondo questa legge, non soltanto il momento della guerra propriamente detta, ma anche il momento della scuola, il momento della vita familiare, il momento della convivenza cittadina. La competizione in vista della prevalenza del più forte è la legge. L’abbiamo anche teorizzata. Senza questa dialettica non c’è progresso. E abbiamo avuto il progresso. Difatti, nei popoli dove non c’e questa legge, c’è l’inerzia ! Ma ecco che siamo ad una specie di resa dei conti, oggi, perché questo progresso, da certi sintomi sempre più eloquenti, ci appare disumanizzante. Ecco alcune contraddizioni più pratiche, quelle più incontestabili: abbiamo nella città migliaia di case disabitate, e abbiamo migliaia di sfrattati. Case vuote e gente senza case: è tale il progresso, nella logica del mercato. Abbiamo dei ritrovati medici per salvare la vita dell’uomo eccezionali, oggi, e ce ne vantiamo, giustamente ! Però abbiamo accumulato bombe atomiche di ogni genere pronte a distruggere la vita. Da una parte compiamo miracoli per salvare la vita anche di un bambino, dall’altra parte tutto è pronto per distruggere la vita. Abbiamo il culto della natura, costruiamo nei nostri salotti il presepio, i ruscelli, le colline, le campagne, ma anche le nostre campagne sono devastate, gli alberi avvelenati, i fiumi e i mari avvelenati. Viviamo in questa contraddizione, sentiamo che in realtà qualcosa non torna nel nostro progetto di vita collettivo: dobbiamo riprendere la misura dell’uomo. Il Natale ci presenta un’alternativa di umanità, ci apre la spiraglio verso un nuovo modo di essere uomini che, appena si dice, appare così utopico che muore la parola sulle labbra: come si fa a vivere in questo modo ? Eppure oggi è la stessa necessità storica che ci sospinge ai margini della vita. Le città sono inospitali, in loro non c’è posto per l’uomo. La città non è più struttura di convivenza, è una struttura di lotta. […] La città è inospitale, l’uomo è belva. Occorre riprendere sul serio il messaggio del Natale.

 

Ernesto Balducci – “Il mandorlo e il fuoco” vol. 2 – 1976

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