12 Ottobre 2014 – 28^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno A
12 Ottobre 2014 – 28^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno A
La speranza comincia oltre i confini delle parole. Al di là del perimetro del dicibile c'è lo spazio dell'indicibile in cui la speranza cammina con passi silenziosi e va verso il futuro.
PRIMA LETTURA: Is 25,6-10°- SALMO: 22- SECONDA LETTURA: Fil 4,6-9- VANGELO: Mt 22,1-14
Che cosa facciamo ogni domenica in questa chiesa? Che senso ha questo incontrarci per ascoltare il messaggio dei profeti e per partecipare all'Eucarestia? Per lo più si tratta di un ossequio ad un abitudine tramandata dai secoli, sancita dai precetti severi della Chiesa ma, normalmente, non si percepisce la ragione profonda dell'appuntamento. La ragione è stata coperta, velata anch'essa dalle forme sacrali, rituali, religiose, ma se appena noi liberiamo il senso di questo evento che accompagna la nostra esistenza, lo rendiamo esplicito, ci accorgiamo che esso ha a che fare con la nostra speranza. Non è un rito religioso fatto per ossequio a Dio ma è un rito con cui noi ricordiamo «quale sia la speranza a cui siamo chiamati». Questo è il simbolo del banchetto che, secondo l'immagine potente di Isaia, è il senso ultimo della storia degli uomini, come individui e come popoli. Il banchetto eucaristico che Gesù celebrò prima che fosse consegnato ai suoi nemici, è un'anticipazione simbolica di questo evento. È qui che noi dobbiamo accendere la luce della nostra speranza, capire le ragioni del nostro andare verso il futuro, vincere le pigrizie interiori, dissipare le nebbie che oscurano il nostro spirito, allargare i vincoli di solidarietà fino ai confini della terra. Questo dovrebbe essere il senso di una Eucarestia recuperata dai rigidi schemi rituali in cui abbiamo imparato a viverla. Allora diciamoci queste parole che danno espressione oggettiva alla grande speranza a cui siamo stati chiamati. Vorrei subito mettere in evidenza, quasi in obbedienza alle reazioni che provoca in me questa lettura, la condizione effettiva in cui ci troviamo – popoli accanto a popoli, classe accanto a classe, cultura accanto a cultura – ed è una condizione di cecità. L'immagine di questo velo che abbiamo dinanzi agli occhi è un'immagine di straordinaria efficacia perché la realtà che noi speriamo ci sovrasta a tal punto che non possiamo che esprimerla con immagini e simboli desunti dalla nostra abitudine, dalla nostra cultura, dal nostro linguaggio e sono sproporzionatamente inferiori alla realtà verso cui andiamo. Non ci dimentichiamo mai di questa doppia dimensione che è in noi. Se non ci fosse, ogni sguardo sul futuro dovrebbe essere di rassegnazione, come quello degli animali che non hanno ragione. Da una parte siamo così figli del mondo che ci ha educato, così modellati dalle forme che sono state elaborate dai secoli che non possiamo fare un passo più in là se non nel silenzio. Anche quando io parlo non faccio altro che utilizzare un patrimonio simbolico che non ho creato e che voi comprendete. La realtà verso cui andiamo è però troppo più grande. Ebbene, dentro di noi c'è una tensione proporzionata a quella realtà. La parte inedita, nascosta di noi, che non ha parole o se le ha le usa con impaccio sentendo che esse sono una diminuzione dell'esigenza espressiva, è una dimensione senza della quale non avremmo la speranza. La speranza comincia oltre i confini delle parole. Al di là del perimetro del dicibile c'è lo spazio dell'indicibile in cui la speranza cammina con passi silenziosi e va verso il futuro. Ritorniamo allora al linguaggio profetico, anche un po' greve. Questo banchetto con grasse vivande, con vini succulenti non è certo un'espressione destinata a soddisfare i contemplativi, gli asceti. E una stupenda espressione che sta a significare che l'evento ultimo non è un volo di anime, come colombe, verso il cielo, è un adempiersi dell'aspirazione della terra, un perfetto intrecciarsi delle potenze anticipatrici dello spirito e dei nutrimenti terreni di cui siamo costruiti. Questa sintesi materiale/ispirituale è un valore da non dimenticare mai. .Ogni qualvolta ci capita di dover seguire qualche evento di carattere religioso ci accorgiamo che la tentazione è di spezzare questo vincolo per creare un mondo di spirito in cui rifugiarsi liberi da questo mondo sporco e per lasciare – questa è la sottile intenzione diabolica che sta sotto lo spiritualismo – questo mondo in mano a chi ce l'ha, che è poi l'ultima verità di questo atteggiamento religioso. A noi non è lecito spezzare questo. La speranza parte dagli istinti, la speranza si muove dagli spessori carnali della nostra natura e non per abbandonarli ma per trasfigurarli, trascinandoli con sé fino all'adempimento. Il banchetto è insieme un evento spirituale – mangiare in un banchetto non è un fatto materiale e basta, è un fatto di spirito – e un fatto materiale. La sintesi del regno di Dio è qui, in questa cifra. Questa densità ontologica del regno di Dio dà delusione ai materialisti e agli spiritualisti. Noi dobbiamo tener uniti questi due aspetti – «L'uomo non osi separare quello che Dio ha unito» – e alla luce di questa unità ultima trovare il senso del nostro cammino.
Ernesto Balduccì – "Gli Ultimi Tempi" vol.1 – anno A