7 Luglio 2013 – 14^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C
Io non posso in politica aver fiducia nelle armi e nel privato essere un uomo pacifico: non è possibile. Devo vivere con coerenza questa mia scelta, che è incredibile, quasi assurda.
PRIMA LETTURA: Is 66, 10-14- SALMO 65- SECONDA LETTURA: Gal 6, 14-18- VANGELO: Lc 10, 1-12. 17-20.
…Penso spesso alla rapida integrazione delle classi sociali e delle generazioni nuove dentro i meccanismi di una società dominata dalle stesse regole che sono quelle della competizione, della sete del denaro, della volontà di soddisfare immediatamente tutti gli impulsi istintivi. Prima queste prerogative erano rimesse a dei ceti ristretti. Non c'è mai stata una società buona, né un tempo cristiano, ma la competizione era come riservata a ceti ristretti che potevano usufruire largamente delle prerogative del potere: la cultura, il denaro, la partecipazione alla gestione della società. A quel livello la competizione c'è sempre stata, ma il corpo sociale viveva legato ad equilibri antichi dove le violenze si rimarginavano, dove il controllo sociale era ancora legato al bisogno di tutelare una certa pace. L'inserimento di tutti i ceti dentro la stessa macchina, dentro le stesse regole senza possibilità di ideali, senza aspirazioni ad una società diversa, esaspera la violenza, la inserisce nel costume, nei rapporti privati, anche nei bambini. Noi siamo ai limiti di questo contagio, per cui la nostra città – uso il termine emblematicamente – è strutturalmente una città violenta nel suo stesso volto, nei suoi quartieri, nei suoi casamenti. Siamo perciò nella legittima paura di quello che può avvenire. La risposta a questo stato di cose è duplice. Da una parte è quella politica, perché dobbiamo colpire le condizioni oggettive, sancite e tutelate da leggi ingiuste che perpetuano la guerra tra i popoli e la sperequazione all'interno della società. Però c'è anche un discorso di cultura, per usare un termine che è già vicino al discorso evangelico che voglio fare. Noi dobbiamo essere uomini di pace in modo coerente. Io non posso in politica aver fiducia nelle armi e nel privato essere un uomo pacifico: non è possibile. Devo vivere con coerenza questa mia scelta, che è incredibile, quasi assurda. L'impossibile è la caratteristica della fede. Io credo nell'impossibile perché quello che è impossibile lo è a partire dalle condizioni di degenerazione in cui ci troviamo, si direbbe – con linguaggio religioso – alla condizione di peccato originale in cui siamo inseriti. Ma l'impossibile si fa possibile se abbiamo fede, se cioè afferriamo in radice la nostra condizione umana e la poniamo con vigore dentro lo stile della pace e dentro il metodo della pace. Ecco perché siamo chiamati tutti ad una revisione di vita con la continua preoccupazione di raccordare – per usare il linguaggio di moda – il privato e il pubblico, la sfera dei rapporti quotidiani e la sfera delle grandi scelte collettive. Nessuno ha delle dottrine straordinarie da annunciare, siamo tutti nel buio. Torniamo alla semplicità del discorso evangelico.
Quando passo dalle letture specializzate sui temi della pace e della guerra e ritorno alla pagina evangelica, ho come l'impressione di scendere nella sfera dei rapporti privati, interpersonali che sono troppo gracili di fronte ai grandi problemi che per la pace dobbiamo affrontare. E qui rivelo il contagio mondano che subisco. In realtà occorre che la pianta uomo sia sana, occorre che l'amore per la pace sia una scelta di vita, la cui anima, il cui sostegno è la fede. Non parlo della fede con la effe maiuscola, per ora, perché i figli della pace non appartengono ad una religione, appartengono alla specie umana, cioè a questa grande chiesa del Dio creatore, che è l'umanità senza distinzioni, dove c'è posto anche per il bestemmiatore, anche per chi rifiuta la fede evangelica. Io dovrò giudicarlo per il suo amore per la pace. Non insisterò mai abbastanza su questo perché una delle condizioni terribili che ci sono state inoculate da secoli è la discriminazione religiosa. Notate che Gesù non dice ai suoi: «andate in una casa e dite: credi o non credi in Dio?». No! Non dice: «Accetti o non accetti la dottrina che ti porto?». Nemmeno! Dice: «Pace a questa casa». Un annuncio evangelico ridotto a questo sembra ridotto a nulla. Invece è tutto qui. Non c'è una verità teorica che rimane vera anche se la nostra condotta è sbagliata. Anche la verità teorica è sbagliata se è congiunta ad una pratica sbagliata. Le nostre teorie non sono che una obiettivazione del nostro malcostume. La dottrina medievale sull'inferno era l'espressione di una società sadica basata sull'onnipotenza degli uomini di cui Dio era come lo specchio supremo: l'imperatore condannava e Dio, su sua immagine, condannava. Non possiamo dimenticarci che fra le nostre dottrine e la nostra pratica c'è un legame in cui la priorità è della pratica, non della dottrina. Ebbene, la pratica cristiana ha la sua punta di diamante nella pace. Gesù ha detto ai suoi di andare nel nome della pace e di sedere a mensa con gli altri nel nome della pace, in una condivisione di beni. Questo è un concetto, se preso fino in fondo, tale da cambiare radicalmente la fisionomia del cristiano.
Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – Vol. 3