8 Settembre 2024, 23° Domenica T.O.

8 Settembre 2024, 23° Domenica T.O.

8 Settembre 2024, 23° Domenica T.O.

Prima Lettura Dal libro del profeta Isaia Is 35, 4-7
Salmo 145
Seconda Lettura Dalla lettera di San Giacomo apostolo, Gc 2, 1-5

Vangelo Dal Vangelo secondo Marco Mc 7, 31-37

 

____
Ripenso, in questo momento, ad un amico di molti di noi, a un testimone
evangelico di gran valore come don Milani, che ha dato la parola ai muti e ha dato
l’udito ai sordi. Però, per far questo, ha ricordato alle professoresse e ai professori,
che erano loro i sordi e i muti. E solo se noi ci riconosciamo, dinanzi all’escluso,
all’emarginato, a nostra volta emarginati da una pienezza di misura umana, solo
allora cominciamo ad imparare l’alfabeto della comunicazione. Però è difficile,
specie quando si parla da questi pulpiti, partire da questo dubbio radicale, da questa
messa in sospetto di se stessi. A volte è di moda questo sospetto, ma non è sincero.
Noi ci aggrappiamo a spessori di linguaggio consolidato che ci rende accettabile e
gradibile la consorteria degli omogenei. Ma ci rende incapaci di dir parole che
abbiano un senso per sordi e muti. Questa messa in crisi del linguaggio (e quindi, al
di là del linguaggio, della coscienza) è un avvio di salvezza che ci porta a non
sfuggire gli incontri che ci mettono in crisi. Il che non vuol dire cadere nello stesso
vizio. Noi abbiamo anche da salvare certe sicurezze, sia pure criticamente
conservate; non possiamo rimettere a zero in assoluto i criteri morali del nostro
comportamento. Lo possiamo fare a livello critico della coscienza. Soltanto allora

ci accorgiamo che eravamo sordi ed eravamo muti.Vi sarà capitato, ad esempio, (la
casistica è molto diffusa) di aver ripensato poi, con una attenzione che in un primo
momento vi sembrava impossibile, a parole dissacranti, offensive e sacrileghe che
avevate ascoltato. A un certo momento quelle parole vi sono penetrate dentro.
Sembravano dettate da odio, da stoltezza e portavano, invece, un germe di
provocazione sapienziale: aprivano le vostre orecchie, aprivano le vostre labbra a
parole diverse. Io penso che per metterci in situazione evangelica, noi dobbiamo
essere così. Non dimentichiamoci che Gesù, che liberava i sordi e i muti — non
solo in senso fisico, ma anche in senso morale e sapienziale — era considerato un
pazzo, un folle. Gesù non andava verso gli esclusi per conto del sistema, come può
andare, non so, un maestro inviato dal ministero a fare la sua scuola in un
villaggetto di montagna con un programma sorvegliato opportunatamente dalle
autorità competenti. Gesù non era inviato se non dal Padre, come dire da nessuno, a
livello storico-sociale. Perciò egli era considerato un pazzo: diceva cose che
turbavano profondamente i detentori delle tavole di saggezza. Per questo fu vestito
da pazzo prima della crocifissione. Quella veste da pazzo non fu un
episodio fortuito, ma il simbolo di come fu considerato dai contemporanei: un
pazzo che diceva cose stolte. Ebbene, proprio perché Egli si fece pazzo entrò nella
sfera segreta della coscienza umana e ancora oggi ci dice parole che, certo, possono
passare per pazze nei dovuti ambienti. Ce ne sono ancora parole
evangeliche pazze da non prendere troppo sul serio, perché altrimenti rischiamo di
turbare quel minimo equilibrio sociale che pure abbiamo. Questa pazzia ci è entrata
dentro e sentiamo che da lì si potrebbe cominciare per capire che il bambino non è
un recipiente da riempire di parole nostre, ma è un maestro da ascoltare; un
emarginato, un degenerato, un peccatore pubblico, prima di essere oggetti da
redimere, sono soggetti da ascoltare, voci che vengono da quel mondo che non
conosciamo. Questa passione per l’universalità umana, abolisce la cattedra, i pulpiti,
e le università, per mettere in primo piano una circolazione di sapienza i cui
portatori non sono quelli con la patente. Sono dovunque, anche nei ghetti degli
emarginati, anche tra i drogati. È così che si rompe questo reciproco gioco di
sordità, cui chi ode, crede di udire, ma è sordo, e quello che crediamo sordo, invece
ascolta e capisce molto bene. Rompiamo questo gioco del codice culturale di cui
siamo vittime e ritroviamo la umanità sorgiva, il ricominciamento da capo di cui
parlavo prima, come metodo di esperimento umano ed evangelico richiesto sempre
di più dalle attuali, tragiche circostanze. Dico tragiche, se è vera la mia ipotesi, che
questi sintomi di disgregazione della compattezza sociale sono appena un inizio di
processo che ci metterà dinanzi a separazioni più li. Questo ricominciar da capo
vuol dire farsi carico serio dei segni del tempo, letti alla luce del Vangelo.

Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

/ la_parola