8 Aprile 2018 – SECONDA DOMENICA DOPO PASQUA – Anno B

8 Aprile 2018 – SECONDA DOMENICA DOPO PASQUA – Anno B

8 Aprile 2018 – SECONDA DOMENICA DOPO PASQUA – Anno B

 

 La pace non era solo un augurio, era la parola costituente di un nuovo modo di essere. I primi cristiani presero sul serio l’annuncio ed «erano un cuor solo ed un’anima sola”. Permettetemi una semplificazione un po’ brutale: erano un cuor solo, un’anima sola e un portafoglio solo!

 

PRIMA LETTURA: At 4, 32-35 – SALMO: 117- SECONDA LETTURA: 1 Gv 5, 1-6- VANGELO: Gv 20, 19-31

 

…Vorrei rifarmi al caso che ci sta angosciando in questi giorni, al caso del popolo Curdo. Dopo la Prima guerra mondiale il popolo Curdo aveva trovato la sua indipendenza: finalmente era un popolo fra gli altri popoli. Durò due o tre anni perché le due potenze che allora gestivano la storia dell’umanità con il gioco degli interessi di capitale – la Francia e l’Inghilterra – si divisero la zona. L’Inghilterra si prese la zona dove proprio allora si era scoperto il petrolio – a Musul – e dove si erano stanziati i Curdi per cui quel popolo fu spezzato in parti. Chi dice più queste cose? Questo fatto è sepolto ormai nel passato, però è un fatto che nella coscienza di quel popolo è vivo. E adesso siamo nell’impotenza totale. Ecco perché poi ci muoviamo tutti a giustificare gli interventi armati. Noi siamo ancora una volta di fronte ad un caso che dimostra che quando si colpisce la dignità di un popolo i frutti malefici verranno magari dopo, ma verranno prima o poi, perché fuori di questo ordine di giustizia, di una giustizia che non ha niente a che fare con la logica del mercato, le cose non stanno. E allora si giustificheranno, come abbiamo fatto, anche le guerre. Ho voluto prendere questo spezzone di storia drammatica, perché non ci dimentichiamo che un fatto del genere è avvenuto anche per quanto riguarda l’annuncio che vi ho dato. Gesù Cristo è risorto. Su questo annuncio abbiamo poi creato dottrine, liturgie. Ma la resurrezione non è un miracolo sbalorditivo come quello di cui volle avere un segno tangibile Tommaso. La resurrezione a cui credono anche quelli che non hanno veduto. Costoro cosa vedono? Devono vedere gli effetti di quell’evento. Quell’evento è affidato alla prassi, non alle dottrine. Si sono scritti volumi e volumi sulla resurrezione, ma è la testimonianza vivente che rende credibile un fatto a cui la testimonianza si riferisce come a sua vera ragione. Del resto Gesù, quando apparve ai suoi, disse: «Pace a voi». La prima parola, la cerniera fra l’evento inesplicabile della santità di Dio che libera Gesù da morte è l’umanità, è la parola «pace». La pace non era solo un augurio, era la parola costituente di un nuovo modo di essere. I primi cristiani presero sul serio l’annuncio ed «erano un cuor solo ed un’anima sola”. Permettetemi una semplificazione un po’ brutale: erano un cuor solo, un’anima sola e un portafoglio solo! Il che non ci va, perché fino a che si parla di cuore e di anima tutto va bene, ci luccicano gli occhi dalla commozione, purché non si entri nella sfera degli interessi. Infatti, voi lo sapete, che anche la preoccupazione dei tutori dell’ortodossia è quella che non si vada a cadere in «politica». Ma questa non è politica. O la fraternità è reale o non è. Questo realismo della resurrezione noi l’abbiamo sempre temuto, negato mai. Come si fa? «Gesù è risorto», dobbiamo pur dirlo, questo evento, ma a condizione che non si arrivi a prenderlo come principio costitutivo dell’esistenza umana. Ci provò qualcuno. Per esempio, Francesco d’Assisi fece così ed era ostinato nel volere che i suoi vivessero come fratelli senza più nessuna proprietà. Era terribile vivere senza proprietà in un mondo dove la proprietà era tutto. Ci fu allora la Chiesa che trovò un escamotage abilissimo: voi prendete queste cose, dite che non sono vostre ma sono della Chiesa così voi siete proprietari senza esserlo. Ecco l’astuzia. Non finirei più per dimostrare che tutto il nostro sforzo storico è stato quello di prendere sul serio la resurrezione senza prenderla sul serio. Noi ora ci sentiamo profondamente coinvolti da queste contraddizioni in quanto non ci è più possibile, anche se facciamo di tutto per alzare barriere di percezione attorno a noi, dimenticare che per noi il pianeta terra è quello che era Gerusalemme per i primi cristiani: è una città. Allora queste parole che abbiamo letto sono un giudizio terribile su di noi…

 

                           

Ernesto Balducci – da “Gli ultimi tempi” vol. 2 anno B

 

 

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