7 Agosto 2016 – XIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
7 Agosto 2016 – XIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
Una speranza che comporti lo sterminio dei nemici non è adatta al nostro spirito
PRIMA LETTURA: Sap 18,3.6-9 – SALMO: 32 – SECONDA LETTURA: Eb 11,1-2.8-19 –VANGELO: Lc 12, 32-48
…La disperazione ha mille vie per potersi esplicare. C’è anche la rinuncia a cercare, l’adattamento passivo al giorno dopo giorno e molti che hanno tanto sognato sono ridotti a non sperare più niente. La fede dunque è una risorsa, ma non cieca, non volontaristica, perché noi abbiamo l’ultima meta verso cui guardare e che dobbiamo esprimere con i termini che più si adattano alla nostra temperie umana così come si è realizzata nel cammino del tempo. Le parole ci imbrogliano, le definizioni della speranza, che hanno dato nel passato quelli che ci hanno preceduto, non ci bastano più, anzi ci sembrano segnate da una angustia che non possiamo più tollerare. Perfino quando abbiamo ascoltato stamani, in questa stupenda pagina della Sapienza, le parole che riguardano il popolo di Dio che si attendeva «la salvezza dei giusti e lo sterminio dei nemici». Una speranza che comporti lo sterminio dei nemici non è adatta al nostro spirito. La speranza ha le sue tappe, le sue mete, il suo linguaggio e non dobbiamo del tutto scandalizzarci se coloro che nel viaggio ci hanno preceduto, ci hanno lasciato in eredità immagini della speranza non adatte a noi. La vita è un cammino. Dobbiamo abbandonare le cose di ieri e se non siamo pronti a questo, traduciamo la speranza in termini che offendono la coscienza dell’uomo. È una dinamica importante quella che tento di descrivervi. Ci muoviamo verso il futuro con questa meta: la costruzione di una città nuova che, costruita da Dio, non può essere che la città di tutte le creature perché Dio, a differenza di noi, non fa distinzioni fra giusti e ingiusti ma il suo sguardo si posa su tutte le creature con benevolenza perché ogni malizia è venuta dall’uomo ed ogni malizia dovrà essere superata. Questo obiettivo ultimo è la definizione che possiamo dare, in fedeltà al nostro stato storico, alla speranza della fede. Sperare solo nell’aldilà, aspettare la catastrofe del mondo significa guardare alla creazione con un occhio annichilatorio, che l’annienta colpendo il Creatore che la fa essere. L’amore per le cose non può essere in contrasto con l’attesa della città di Dio, che è la città del Creatore di tutte le cose. Le ascetiche, le formulazioni teologiche del passato non ci devono fare da ingombro. Ognuno porti il peso della sua speranza. La speranza è anche un peso, non è una consolazione, perché essa promana da sé i progetti, gli imperativi che esigono abnegazione, dedizione totale. Una speranza vissuta con egoismo ha una funzione consolatoria e genera illusione funesta e fanatismo. Questa speranza, tutta calata nella oggettività della promessa, è una speranza che in tanto vive, in quanto implica e realizza l’abnegazione, il superamento delle nostre angustie, del nostro particolarismo. Se ci preme davvero questa città futura, verso cui siamo incamminati, saremo pronti a sopportare tutte le tribolazioni e tutte le rinunce. È importante questo spirito di attesa, questa vigilanza, perché l’ora di Dio può venire ogni momento e l’ora di Dio non è soltanto quella del resoconto, è quella delle possibilità che all’improvviso Dio ci offre perché la speranza si realizzi. Quante volte ci è capitato di sfiorare queste possibilità senza avvertirle! Poi, con memoria postuma, ci siamo pentiti, abbiamo giudicato negativamente il nostro comportamento. Noi dobbiamo stare vigilanti…
Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 3