6 Ottobre 2013 – 27^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
E' possibile colmare questo abisso? è possibile far sì che gli epuloni smettano di avere il monopolio del banchetto e i lazzari il monopolio della fame?
PRIMA LETTURA : Ab 1,2-3; 2, 2-4-SALMO 94- SECONDA LETTURA: 2 Tm 1,6-8.13-14-VANGELO: Lc 17, 5-10
…Le parole ascoltate oggi ci permettono di ricostruirci, almeno schematicamente, l'atteggiamento da prendere di fronte a questo senso del destino. Gli antichi parlavano della necessità che tutto guida e dentro cui noi volteggiamo come moscerini in un raggio di sole. Ciascun moscerino si crea un mondo e crede che quel mondo sia vero, ma è dentro un gioco, non fa il gioco. Se la fede ha intanto un senso antropologico, a prescindere dai suoi significati in rapporto alla trascendenza, è che essa è la rottura della legge del destino, al livello dell'uomo, dei suoi atteggiamenti soggettivi. L'esperienza ci svela, pagina dopo pagina, la legge della immutabilità delle cose: – niente di nuovo sotto il sole; cambiate il nome, ed i tiranni di venticinque secoli fa ci sono oggi, le stesse cose capitano, il destino dell'uomo è questo-. La fede è il capovolgimento di questa terribile verità dell'esperienza in cui tutto sembra predeterminato, per cui la storia futura sarà la ripetizione, con mutamenti soltanto accidentali, di ciò che è già avvenuto. La fede è la scommessa sull'impossibile. La necessità, che è come una linea ferrea dentro cui corre il nostro vivere individuale e collettivo, all'improvviso si apre come un ventaglio: non c'è una sola possibilità, ce ne sono tante. Aver fede significa opporre alla logica della necessità la possibilità nuova. Il mondo sarà come nei vorremmo che sia, non come è scritto che sia. Dall'antica astrologia al determinismi materialistici moderni c'è una sapienza che ci dice che in realtà tutto è fissate e i nostri giochi soggettivi sono già previsti anch'essi dentro una cornice che è immutabile. Il punto di innesto della fede sullo spessore opaco della storia è la sfida a questo. Quando Gesù dice le parole: " se avete fede quanto un granello di senapa potreste dire – è una cosa impossibile – ad un albero spostati e l'albero si sposterebbe”. –
L'esempio della impossibilità è molto chiaro, elementare, proprio del linguaggio di Gesù, semplice come coloro che l'ascoltavano – . Non usa la parola fede come è scritta nei nostri catechismi: fede in Dio Padre onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra. Aveva appena raccontato la parabola, che noi abbiamo già meditato, dell'abisso che separa Lazzaro dal ricco epulone. I discepoli si sentivano impauriti di fronte a questa prospettiva, che sfocia nell'al di là dove il povero sta “nel seno di Abramo" e l'epulone sta nelle fiamme. dell'inferno. Presi dal senso della impossibilità chiedono a Gesù: "aiuta la nostra fede". E' possibile colmare questo abisso? è possibile far sì che gli epuloni smettano di avere il monopolio del banchetto e i lazzari il monopolio della fame? E' possibile questo? La fede di cui parla Gesù non è la fede teologale che ha per oggetto diretto il mistero di Dio, è la fede nella promessa di Dio. La promessa di Dio è la promessa dell'impossibile. Verrà un giorno in cui gli epuloni ed i lazzari saranno diventati fratelli. E' una cosa quasi impossibile, pari a quella di dire ad un albero: spostati! Aiutaci a credere questa possibilità. Come quando dico: ci sarà un giorno in cui gli uomini non sapranno più cosa è un'arma per uccidere. E' una cosa impossibile! Aiutaci a credere questa possibilità. Intanto la fede ha come primo riflesso un risveglio dentro di noi di una sicurezza che l'impossibile lo possiamo realizzare. Questo è importante, anche per leggere il senso di certi scoraggiamenti storici, massicci che ci sono oggi.
Chi ieri reagiva contro il sistema, oggi è rassegnato, magari con un conto in banca, con alcuni lenimenti del benessere. Restando sempre nel versante antropologico il portato della fede nella promessa di Dio è che contro tutte le smentite noi continuiamo a sperare, e come dice il profeta, facendo parlare Dio, “Scrivila nella tua tavoletta questa visione, non tarderà. Se indugia aspetta". Noi viviamo dentro un indugio divino che è lo spazio – durerà quanto? dieci secoli? due anni?- che sta fra la mia attesa e la realizzazione. In questo indugio, però, è importante sapere se io mi devo rassegnare alle cose come vanno o se invece devo stare all'erta perché questa promessa non è affidata al "deus ex machina", al Dio che piomba e cambia le cose, è affidata alla risposta umana. Questa è una verità a cui fa ostacolo un certo genere letterario, anche della Scrittura, in cui gli eventi futuri – come quello di Lazzaro e dell'epulone all'inferno – vengono descritti storicamente come eventi del tempo che verrà ma in realtà vogliono raffigurare , in maniera simbolica, il dilemma che abbiamo ora noi nella coscienza del momento. Non è quindi stabilito che gli epuloni vadano all'inferno e che i lazzari vadano in paradiso. Questo modo ingenuo di proiettare sullo schermo remoto dell'immaginazione i dilemmi attuali della coscienza può essere alienante. Non dobbiamo parlare di inferno e di paradiso come di terminali del binario storico. Dicevano i Luterani:" noi andiamo verso la fine su di una cavalcatura, ma non sappiamo se è il diavolo o Dio che ci porta .Lo sapremo alla fine". Questo atteggiamento fideistico e deterministico contrasta direttamente con lo spirito profetico del Vangelo. Noi saremo come vorremo; non nel senso faustiano della parola, nel senso che tutto dipende dalla forza della nostra volontà. Come dice Paolo nella sua lettera a Timoteo: " Noi non abbiamo ricevuto da Dio uno spirito di timidezza ma di forza". La timidezza è di chi dice: sarà quel che Dio vorrà. A volte queste espressioni di fede ci possono commuovere e a volte hanno una profonda sapienza. ma spesso appaiono come una sacralizzazione della rinuncia a prendersi le responsabilità di fronte al mondo.
Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 3