6 Gennaio 2025, Epifania del Signore
Prima Lettura Dal libro del profeta Isaia Is 60, 1-6
Salmo 71
Seconda Lettura Dal lettera di San Paolo apostolo agli Efesini, Ef 3, 2-3, 5-6
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Dal Vangelo secondo Matteo Mt 2, 1-12
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Alcuni dati di carattere storico, che fanno da retroterra ai tre brani che abbiamo
ascoltato, servono a fondare un criterio di lettura e di riflessione a cui siamo poco
assuefatti. Il libro di Isaia da cui è tratta la profezia sullo splendore di
‘Gerusalemme, centro del mondo a cui tutti i popoli vanno portando doni, è stato
scritto mentre in realtà il popolo di Israele era in esilio, la città era distrutta e la
Giudea era occupata dallo straniero: la grande profezia aveva dunque anche lo
scopo di consolare un popolo affranto e di ristabilire dinanzi ai suoi occhi la
prospettiva del ritorno glorioso. Quando Paolo scrive agli Efesini non è più
Gerusalemme il centro del mondo, è il Cristo. La prospettiva dell’unità del genere
umano si sposta dunque da una città, da un luogo geografico per addentrarsi nel mistero invisibile di Gesù. Quando il redattore del Vangelo di Matteo, scrive il racconto che ha tutti i tratti fiabeschi dei midrash ebraici specie di parabole
colorite attraverso le quali si mirava a dare un insegnamento — Gerusaemme è già
stata distrutta e nell’animo delle comunità cristiane di derivazione giudaica c’era lo
smarrimento: come mai potrà compiersi la promessa di Dio? Il messaggio è chiaro:
gli adoratori di Dio verranno da luoghi lontani, estranei al popolo di Israele Ancora
una volta si nega l’identificazione geografica del luogo in cui sarà unito il genere
umano e si allargano le prospettive — sia pure in modo ingenuo – fino ai confini
della terra. Questi ritmi danno la prova che in realtà se noi leggiamo secondo lo
spirito e non secondo la lettera le parole delle Rivelazione siamo costretti a
tener conto perché il loro senso si dischiuda in tutta la sua ricchezza, delle
situazioni storiche in cui ci troviamo, proprio come fece Isaia, come fece Paolo e
come fece l’autore di Matteo. A nostra volta noi ci troviamo in una situazione
storica del tutto inedita nei confronti del passato. L’universalismo del passato era
viziato dal sottinteso che a portare a tutti gli uomini l’elevazione necessaria, le
strutture e i princìpi di unificazione saremmo stati noi dell’Occidente, questa
Gerusalemme della cultura. La centralità più interna che esterna, della nostra
cultura era presente anche là dove se ne faceva la critica. Dal punto di vista
culturale e civile, siamo eredi di grandi ideologie universalistiche fondate sul
concetto che il genere umano avrebbe trovato la sua unità su dei princìpi che non
avevano il loro luogo privilegiato in nessuna parte del mondo, ma erano provenienti
dalla natura umana in quanto tale. Le rivoIuzioni democratiche sono state compiute
alla luce un messianismo ormai laico, secolare, sganciato formalmente dai
riferimenti alla Scrittura, animato dalla certezza che, moltiplicando nel mondo le
forme di vita democratica, avremmo potuto unificare le nazioni ricolmandole dei
benefici dell’industria, della produzione e liberandole dalle miserie antiche. Questo
universalismo ci ha profondamente permeati al punto tale che per noi sono barbari,
incivili, sottosviluppati tutti coloro che non hanno adottato le nostre istituzioni
democratiche.
…Facendoci partecipi di questo messaggio universale siamo costretti a farci largo
attraverso il presente verso il futuro e allargare la nostra solidarietà con tutte le
creature con la certezza che una Betlemme ci sarà pure nel mondo, che qualche
neonato -parlo per immagini- che non ha né potenza nè ricchezza ma ha la
possibilità di additare all’umanità le nuove strade, ci sarà pure nel mondo. Non saeà
un uomo, sarà una collettività, sarà un popolo sarà l’ emisfero del sud, ma nel
genere umano -questo èl ‘atto di fede che compio, non solo in quanto credente, ma
in quanto uomo del mio tempo – ci sono risorse straordinarie per far fronte alle
minaccie che l’insidiano fin nella sua radice biologica. Dobbiamo aprirci a
questi eventi perché è un’altra Epifania che aspettiamo. Non siamo qui a
raccontarci della stella e dei magi e della grotta, con una specie di inguaribile
infantilismo, perché altre stelle dobbiamo guardare e altri viaggi dobbiamo fare per
poter essere all’altezza dell’imperativo universalistico proprio della nostra
fede.
Da “Il Vangelo della pace” vol.3 anno C