6 Gennaio 2021 – EPIFANIA DEL SIGNORE – anno B

6 Gennaio 2021 – EPIFANIA DEL SIGNORE – anno B

6 Gennaio 2021 – EPIFANIA DEL SIGNORE –  anno B

 

PRIMA LETTURA: Is 60,1-6    SALMO: 71    SECONDA LETTURA: Ef 3,2-3a.S-6     VANGELO: Mt2,1-12

 

… È vero che la repulsione dell'altro spesso è soltanto il motivo occasionale e simbolico di un conflitto che ha altre ragioni, però c'è questo elemento specifico, con cui dovremo confrontarci sempre di più e con rapidità, che è l'alterità dell'uomo. I lontani sono vicini, per sentieri strani vengono da noi. Questo è il problema che le generazioni precedenti non hanno potuto capire, o meglio lo hanno affrontato ma, per rifarmi all'iniquità che ho enunciato in partenza, quando gli eredi di questa straordinaria profezia si sono recati in tutte le parti del mondo hanno imposto questa verità o hanno addirittura distrutto gli uomini. Spesso mi domando: come hanno potuto leggere queste cose con animo tranquillo? Non posso, senza oltretutto contraddire l'evidenza, pensare che le generazioni precedenti fossero tutte malvagie. Non è vero. Erano interne ad una illusione. Le menzogne sono come un'atmosfera che circonda la collettività, che ci respira dentro e non sa di respirar menzogna. È un processo storico che, alla lontana, vediamo bene. Ora capiamo bene, ma solo ora, che ci sono contraddizioni nella storia dell'umanità che non possono essere ridotte solo alla differenza economica. Non basta risolvere il terribile, tragico problema della disuguaglianza economica per risolvere tutti gli altri problemi. Ce n'è uno, di fondo, che ha le radici genetiche nella storia della specie, ed è la repulsione dell'altro a prescindere, in qualche misura, dalle ragioni economiche. L'accoglienza del diverso è un evento che ci mette in questione non solo nel portafoglio, ci rimette in questione nei cromosomi, ci rimette in questione negli impulsi istintivi. Questa è la grande scoperta che stiamo facendo. Allora getto un velo su tutte le forme di iniquità che il passato ha compiuto in nome di questa verità che oggi stiamo meditando e con uno sforzo di coerenza con me stesso dico quello che sto per dire. Ci sono due prospettive per guardare questa luce che splende su Gerusalemme. Ce n'è una che consiste nel guardare da Gerusalemme illuminata tutto il mondo e mirare ad integrare tutto il mondo dentro questa luce. È la prospettiva che ha dominato fino ad oggi. Al posto di Gerusalemme mettete la Chiesa cattolica: essa guarda il mondo e lo giudica secondo una maggiore o minore prossimità alla luce, alla coscienza di possedere una promessa, un futuro assicurato dalla parola di Dio. In questo modo avete la prospettiva ancora dominante che poi si è secolarizzata perché questi sono processi che hanno le loro radici non tanto nella sfera delle certezze teologiche come tali, le quali sono sovrastrutturali, hanno la loro radice nell'impulso dell'uomo ad affermare se stesso contro gli altri. Questo impulso si veste di luci diverse, anche di quella sacra, che è la più terribile di tutte perché arriva a coinvolgere perfino Dio nella menzogna e Dio diventa menzognero per causa nostra, un Dio che fa paura, che non è il Dio della promessa che vuole tutti gli uomini fratelli, che è Padre di tutti. Sotto queste parole, ripetute secondo una monotona reiterazione millenaria, c'è un Dio terribile. C'è però un'altra prospettiva che non costruisco io ma che è il segreto del segreto dell'evento natalizio che abbiamo celebrato. Proviamoci a guardare la gloria a partire dall'uomo. Non l'uomo a partire dall'istituzione, dalla città ma la città, l'istituzione a partire dall'uomo. E non dico «l'uomo», che è troppo generico ma l'uomo il più reietto possibile, come era questo figlio di due pellegrini – Maria e Giuseppe – che erano stati espulsi dalla città. Sono i temi di fondo del Natale che rappresentano l'alterità che minaccia i poteri costituiti. Ecco il turbamento. Il turbamento nasce quando si ha notizia, quale che essa sia, che è cominciato qualcosa che potrebbe sovvertire l'ordine costituito. È questo il turbamento da cui partono impulsi di emarginazione, le stragi degli innocenti che sono storia quotidiana. Tutta la storia è una strage di innocenti compiuta con la complicità fra il Sinedrio ed Erode, cioè fra i due poteri. Proviamoci allora a guardare questa promessa a partire dall'uomo. Le cose cambiano. Il senso del messaggio natalizio è questo: Dio entra nell'umanità a partire dall'ultimo. È proprio il capovolgi mento della prospettiva. Da quel momento non c'è Terra Santa, non ci sono terre sante, non ci sono templi sacri perché quando ci sono è un guaio per l'umanità intera. Tutte le città sante sono al centro di enormi catac1ismi sociali, i fanatismi si sprigionano immancabilmente. Ma l'annuncio semplice del Natale è che c'è più santità in un bambino nato in una capanna, in una bidonville, in un accampamento di zingari che in tutte le cattedrali della terra. Il Natale è questo o è una menzogna. Dio entra come un filo in questa cruna d'ago che è la piccolezza. È questo l'annuncio oppure tutto perde senso. Io come uomo che accoglie questa promessa guardo Gerusalemme, la Chiesa cattolica, le Chiese, gli Imperi a partire da qui. Questo è il principio numero uno, perso il quale tutto il resto diventa menzogna per necessità interna di coerenza. Senza entrare adesso nel dettaglio esegetico delle pagine che abbiamo ascoltato ripeto quello che dicevo all'inizio. Il dramma dei cristiani che avevano accolto questo messaggio sappiamo quale era ai tempi di Paolo. C'era una religione costituita, da cui lo stesso Gesù era emerso – ebreo, figlio di ebrei – ed era la religione dei circoncisi. La discussione era se la salvezza era offerta anche agli altri o no. Anche allora fu un dramma: perfino Paolo fu minacciato di morte dai suoi correligionari. Il dramma che allora fu vinto si ripete oggi. La domanda è se tutto quello che abbiamo, non soltanto la promessa religiosa tradottasi in istituzione, in riti … ma anche la promessa messianica dell'uguaglianza, della fraternità … è per noi o per tutti gli uomini. La risposta non può che essere questa: è per tutti gli uomini e le misure per giudicare come si realizza questa promessa non le prendiamo da noi, le dobbiamo prendere da loro. Per misurare la legittimità o meno di un fatto non guardiamo coloro che hanno la posizione pregiudiziale di favore: «La condizione di chi possiede è migliore», dicono i giuristi. Noi possediamo tutti quei beni per salvare i quali abbiamo il diritto in mano: diritto privato e diritto internazionale. Il diritto internazionale è la nostra forza. Però se io guardo il diritto internazionale dalla parte di chi non ne ha tratto nessun vantaggio, dalla parte di chi non ha niente da difendere se non la sua vita messa allo sbaraglio, le cose cambiano.

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 2

 

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