6 Gennaio 2020 – EPIFANIA DEL SIGNORE – anno A
6 Gennaio 2020 – EPIFANIA DEL SIGNORE – anno A
Noi dobbiamo invece passare dall'impotenza dell'uomo, dal suo stato inerme per riprendere le misure su tutto. Non si tratta di radicalismo massimalistico, si tratta di una opzione antropologica che è omogenea al mistero che ci è stato rivelato. Si spengano le luci sulle Gerusalemmi e si accenda la luce sull'uomo.
PRIMA LETTURA: L Is 60,1-6- SALMO: 71- SECONDA LETTURA: Ef 3,2-3a.5-6- VANGELO: Mt 2,1-12
…Tutte le città sante sono al centro di enormi cataclismi sociali i fanatismi si sprigionano immancabilmente. Ma l'annuncio semplice del Natale è che c'è più santità in un bambino nato in una capanna, in una bidonville, in un accampamento di zingari che in tutte le cattedrali della terra. Il Natale è questo o è una menzogna. Dio entra, corre un filo in questa cruna d'ago che è la piccolezza. E questo l'annuncio oppure tutto perde senso. Io come uomo che accoglie questa promessa guardo Gerusalemme, la Chiesa cattolica, le Chiese, gli Imperi a partire da qui. Questo è il principio numero uno, perso il quale tutto il resto diventa menzogna per necessità interna di coerenza. Senza entrare adesso nel dettaglio esegetico delle pagine che abbiamo ascoltato ripeto quello che dicevo all'inizio. Il dramma dei cristiani che avevano accolto questo messaggio sappiamo quale era ai tempi di Paolo. C'era una religione costituita, da cui lo stesso Gesù era emerso – ebreo, figlio di ebrei – ed era la religione dei circoncisi. La discussione era se la salvezza era offerta anche agli altri o no. Anche allora fu un dramma: perfino Paolo fu minacciato di morte dai suoi correligionari. Il dramma che allora fu vinto si ripete oggi. La domanda è se tutto quello che abbiamo, non soltanto la promessa religiosa tradottasi in istituzione, in riti – ma anche la promessa messianica dell'uguaglianza, della fraternità – è per noi o per tutti gli uomini. La risposta non può che essere questa: è per tutti gli uomini e le misure per giudicare come si realizza questa promessa non le prendiamo da noi, le dobbiamo prendere da loro. Per misurare la legittimità o meno di un fatto non guardiamo coloro che hanno la posizione pregiudiziale di favore: «La condizione di chi possiede è migliore», dicono i giuristi. Noi possediamo tutti quei beni per salvare i quali abbiamo il diritto in mano: diritto privato e diritto internazionale. Il diritto internazionale è la nostra forza. Però se io guardo il diritto internazionale dalla parte di chi non ne ha tratto nessun vantaggio, dalla parte di chi non ha niente da difendere se non la sua vita messa allo sbaraglio, le cose cambiano. Se io guardo la giustizia internazionale a partire dal diritto internazionale che io gestisco, faccio anche la guerra per affermare il diritto internazionale. Ma se guardo il diritto internazionale dalla parte di chi invece non ne ha avuto fino ad ora che sopraffazioni, emarginazioni coperte dalla forma giuridica, io cambio atteggiamento. Insomma, il diritto di fondo è quello dell'uomo povero a sopravvivere. Noi siamo – perché il discorso passa, e non indebitamente ma per connessione anche storicamente esplicabile, dal sacro al profano, dall'ecclesiale al politico in quanto le radici di fondo sono le stesse – in imbarazzo. Dico allora che la gloria di Dio non siede in nessuna Gerusalemme, in nessuna chiesa, ma è nell'uomo – e questo è il messaggio centrale dell'Incarnazione – che in questo momento è nelle condizioni analoghe a quelle del bambino espulso, profugo in Egitto, virtualmente ucciso dalla strage. Questa è la verità evangelica, altra io non ne conosco. Con questa coscienza dobbiamo riprendere la nostra progettazione di vita. Dobbiamo vivere con questa apertura verso la manifestazione di Dio. Dobbiamo abbandonare tutte le città sante, contestare la santità delle città sante perché essa è pericolosa, perché è una concrezione collettiva della volontà di potenza la quale è la forza atomica che sta per distruggere la storia umana. Noi dobbiamo invece passare dall'impotenza dell'uomo, dal suo stato inerme per riprendere le misure su tutto. Non si tratta di radicalismo massimalistico, si tratta di una opzione antropologica che è omogenea al mistero che ci è stato rivelato. Si spengano le luci sulle Gerusalemmi e si accenda la luce sull'uomo. Splenda la luce della capanna. Esca dalla città e ogni città – si tratti di Roma, Firenze, Bologna – sappia che ci sono gli altri in periferia. Questa non è una sfida che va risolta con esortazioni spirituali, ma innanzi tutto con questa opzione di fondo. Allarghiamo i nostri spazi umani, lasciamo arrivare i magi e i pezzenti dall'Oriente e dall'Occidente e dal Sud; oppure muoviamoci verso di loro, entriamo nella logica drammatica di un viaggio che non è mai stato fatto per opzione arbitraria ma sotto la spinta della necessità, vediamo che complicità abbiamo noi con questa spinta della necessità che non viene dalla terra ma viene dalla storia e viene dai meccanismi che sono nelle nostre mani. Questo discorso ci porta nel cuore delle cose. Lasciamo impregiudicato il discorso sul passato che certo è inquietante ma che poi ci ritorna addosso. Siamo già nel clima della celebrazione della Conquista dell'America, che è un capitolo spaventosamente probante di quello che ho detto. Come si è rivelata la gloria di Dio negli indios? Verranno a dircelo e sarà terribile. Il passato ci ritorna addosso ed è anche naturale perché c'è una esigenza di giustizia che va in tutte le dimensioni e i peccati del passato hanno fatto coagulo in noi per cui nel Terzo Mondo non c'è rivoluzione che non ci faccia vergogna, anche quella in Somalia. Siamo sempre nelle tresche della violenza e dello sfruttamento. Il passato ci viene addosso. Allora un mistero che rischia di collocarsi nel clima artefatto dei presepi, al suono delle cennamelle, ci riprecipita, dove è giusto, per una gravitazione che è la legge perenne della fede cristiana, nel cuore oscuro delle cose e delle vicende umane e da lì cominciamo a fare il discorso. Allora vedremo che quella luce, che il profeta vedeva sulla città, splende nelle tenebre e più le tenebre sono fitte per colpa nostra e più lì si nasconde la luce da cui può venire la salvezza per tutti noi.
Ernesto Balducci – da: »Gli ultimi tempi” – vol. 2