13 Agosto 2023 XIX Domenica T.O.
13 Agosto 2023 XIX Domenica T.O.
Prima lettura: 1Re 19, 9a, 11-13a;
Salmo 84;
Seconda lettura: Rm, 9, 1-5;
Dal Vangelo secondo Matteo 14, 22-33
L’ immagine di Gesù che dopo aver compiuto il miracolo della folla — i
cinquemila sfamati, senza contare le donne e i bambini — si ritira da solo, per
sottrarsi all’entusiasmo, è una immagine che mi ritorna spesso alla mente per
definire il perenne mistero di Gesù che, nonostante tutti i secoli che sono
passati, io sono convinto è solo. Fra il suo messaggio e la sua parola e ciò che
i suoi fedeli hanno fatto e hanno detto in nome suo, c’è un divario, un vuoto,
una distanza che ogni tanto riscopriamo, perché la fede che Egli ha chiesto —
quella simboleggiata da Pietro che cammina sulle acque — è così al di sopra
delle risorse umane che noi abbiamo bisogno di sorreggerla con degli impulsi
che sono più conformi alla nostra natura. Il risultato che ne abbiamo è quello
di una fede contaminata, che ci tiene distanti da quello stesso Gesù di cui
parliamo e al cui nome ci riferiamo. La solitudine di Gesù è un mistero che
finirà alla fine dei tempi. Del resto lo disse in maniera simbolica anche Lui
nell’ultima cena, quando disse ai suoi: «Non berrò più con voi il frutto della
vite (è il vino della gioia) fino a quando non ci saremo trovati tutti nel Regno
del Padre mio». Gesù è ancora nella sofferenza, dovuta alla sua
segregazione e di questa segregazione, dovuta alla
contaminazione della nostra fede, possiamo dire qualcosa oggi, ai margini di
tre episodi così eloquenti a questo riguardo. La figura di Elia ci richiama, nella
storia che viene narrata dalla Bibbia, i violenti fanatici di tutta la storia delle
religioni. Elia aveva appena sgozzato i sacerdoti del dio Baal per onorare
Jahvè, era ancora macchiato di sangue, temeva rappresaglie. Credeva di avere
reso onore a Dio, si ritira nella grotta. Ed ecco questa mirabile teofania. Viene
il vento, si sente un terremoto: Dio non era nel terremoto; c’è un fuoco che
divampa: Dio non era nel fuoco; c’è un mormorio di vento leggero: Dio era in
quel mormorio. Questa non è una storia antica. Nella stessa terra in cui visse
Elia ci sono oggi uomini di fede che in nome di Dio fanno il terremoto, il
vento e il fuoco. Dio non è nel terremoto, non alza la spada, non è nel vento,
non fa proclami minacciosi, non è nel fuoco perché non divora, non distrugge.
E nel mormorio del vento. E una brezza evangelica che si alza dall’antichità
giudaica. Per capire che Dio è nella brezza, in un soffio impercettibile,
dovremo conoscere la parola e la testimonianza di Gesù. Abbiamo bisogno di
liberare la fede dal delirio dell’onnipotenza. Ecco il primo pericolo che si
nasconde nella fede religiosa. Ahimè, la cronaca di questi giorni ce ne dà un
esempio sconcertante. Un male profondo che giustifica anche il fatto che molti
uomini per difendere un’umanità pacifica hanno deciso di rifiutare Dio perché
Dio è terremoto, vento e fuoco e non ne vogliono sapere. Hanno ragione. Dio
è brezza, la voce di Dio passa attraverso la coscienza umana, è impercettibile,
non costringe, non piega la testa del suo avversario come noi vorremmo che
facesse e come anche il linguaggio religioso continua a dire. Abbiamo cantato
«Te Deum» nelle chiese dopo vittorie sanguinose! Noi amiamo il Dio del
tuono e del sangue. Non solo gli altri, i musulmani «fanatici». E una storia
comune ed è per questo che Gesù è solo. Ha detto a Pietro: «Metti la spada nel
fodero», ma noi abbiamo benedetto innumerevoli spade. È questa la nostra
storia. La solitudine, oserei dire con un tocco forse di eccesso, il pianto di
Gesù è dovuto a questo fraintendimento e per questo, in qualche modo, si può
considerare — capitemi — un fallito perenne nella storia. Io sono convinto
che per ritrovare la sorgente della fede dovremo entrare in quella solitudine.
L’altra tentazione è quella dell’antagonismo. Quelli che hanno fede fanno
gruppo e si contrappongono agli altri, per cui la fede diventa una minaccia
profonda per la solidarietà umana. E una storia lunga quanto la storia della
fede cristiana. La fede ci fa obbligo di essere al servizio di tutti gli uomini,
senza distinzione. Noi abbiamo fatto gruppo tra di noi e abbia destinato con
occhi asciutti gli altri all’inferno. Per secoli abbiamo detto che chi non è dentro
la Chiesa si danna. Questa era la fredda e diabolica certezza. In questo brano
Paolo dice che pur di essere solidale con i suoi fratelli — gli Ebrei che erano
responsabili del rifiuto di Gesù Cristo — accetterebbe di essere anatema, di
essere condannato. Non c’è la sete della salvezza personale al sopra di tutto,
c’è il desiderio della fraternità al di sotto di tutto, anche di andare all’inferno.
Sono i paradossi che esprimono bene questo sentimento. Noi abbiamo vissuto
una fede fatta di usurpazioni, di distinzioni, di segregazioni, di ghetti. Noi
dobbiamo capovolgere tutto questo. Pur di essere solidale con i miei fratelli di
questo mondo, non mi importa chi siano, io accetto di andare all’inferno.
Paradosso. Ma poi questa è la via per conoscere il Dio di Gesù Cristo. Il Dio
di Gesu Cristo non è quello che si conosce al di sopra, ma è quello che si
conosce per le vie concrete della solidarietà con gli uomini, con quelli che noi
giudichiamo i più colpevoli.
Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A