5 Novembre 2023 31° Domenica t.o.
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Prima Lettura Mi 1,14- 2,2.8-10
Salmo Responsoriale (Sal. 130)
Seconda Lettura 1 Ts 2, 7-9, 13
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 23, 1-12
——
Le parole di Gesù contro i farisei sono parole celebri, sempre ricordate perché
danno la misura della sua forza profetica e danno la ragione della sua morte.
Egli è stato ucciso perché ha preso di petto, con parole senza orpelli, l’iniquità
insediata nel Santuario. Vorrei raggiungere il senso di questo messaggio
partendo da una questione di fondo che ci sta agitando, specie in questi ultimi
tempi. Ieri, mentre nell’India bruciava il rogo di Indira Gandhi, riflettevo
sull’altro rogo che tanti anni fa, nel 1948, bruciava il corpo del Mahatma
Gandhi. In quel continente, come in nessun altro, la parola della non-violenza,
e come dire, lo stile evangelico della lotta, è stato ammirato ed ha raggiunto,
cosa davvero senza precedenti, l’efficacia storica. Un continente si è mosso,
cosa assolutamente impossibile secondo i nostri parametri, scrollandosi di
dosso il dominio straniero. Una grande speranza nacque nel mondo. Gandhi fu
ucciso proprio perché la sua predicazione stava sgominando la legge perenne
della forza come unica base di sicurezza e come luogo di coesione dei gruppi
sociali. Nel messaggio di Gandhi c’era un di più nei confronti del livello
storico possibile: egli ha creduto nell’impossibile, ma un rogo bruciò l’India
che non raggiunse l’unità come egli la sognava, una unità al di sopra delle
diverse religioni. Già a quei tempi un’altra linea stava trionfando: —nei
confronti di quella di Gandhi ed era la linea del realismo politico, illuminato,
ampio, di grande respiro come quella del padre di Indira Gandhi. La pace
doveva basarsi non sulla non-violenza ma sull’ordinamento dello stato. Indira
ha usato di questa legge in maniera spregiudicata. Essa ha sconfitto la violenza
con la violenza, ma la violenza l’ha uccisa.
Riflettevo a questo nel ricercare il bandolo della degradazione dei farisei che
si sono insediati, ancora una volta nel santuario. Il dramma dell’essere cristiani
è nell’avere nel cuore, nella mente e sulle labbra una verità incapace di
tradursi in vera storia. Quano Gesu mandò i suoi perché andassero di casa in
casa a dire «pace», li caricò di un compito che, se siamo onesti, appare
storicamente impossibile. Questo è il punto chiave. Quello del Vangelo non è
semplicemente un discorso di buona moralità, è soprattutto un discorso di
prospettiva sulla storia del mondo. In questa prospettiva la beatitudine è
riservata ai pacifici, ai poveri, ai miti…E’questa la pietra di paragone della
proposta evangelica. Chi prende sul serio il Vangelo non può non addossarsi
la responsabilità di rendere credibile quella prospettiva. I primi cristiani, che
tentarono di inserirla nel contesto in cui la violenza era teorizzata e praticata
senza confini, come quello dell’Impero Romano, apparvero come sovversivi
pericolosi. Era un crimine essere cristiani. Lo stesso nome — come dice
Tertulliano— era un crimine.
Da “Il Vangelo della pace” vol.1 anno A