4 NOVEMBRE 2018 – XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B

4 NOVEMBRE 2018 – XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B

4 NOVEMBRE 2018 – XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B

 

C'è chi vuole ristabilire il modello dalla tribù, del sacerdozio, anzi si ritorna ad usare la parola "sacerdoti" per parlare dei ministri della Chiesa mentre il Concilio ha avuto il pudore di non usarla, dato che essa sta bene solo a Cristo che ha assorbito in sé tutte queste funzioni e le ha comunicate a tutti coloro che sono nella fede.

 

PRIMA LETTURA:   Dt 6, 2-6- SALMO: 17- SECONDA LETTURA:   Eb 7, 23-28- VANGELO:   Mc 12, 28-34
 

…La vera fedeltà è quella dinamica che rimanendo dentro la acerbità del tempo la fa maturare per dischiuderla. Esser maturi non significa saltar fuori dalle determinazioni del tempo in una vuota universalità dove batteremmo l'aria, ma stando nelle viscere concrete della storia "giudaica". Ogni popolo ha una sua storia fatta di coesioni, di tradizioni, di memorie e su questa storia non dobbiamo gettare la derisione: essa è carne della nostra carne, ossa delle nostre ossa. Ma non chiuderci dentro di essa, ma sentire che il senso vero di quello che abbiamo vissuto è oltre. Questo "oltre" è importante per le proiezioni che ha anche nell'illuminare i problemi concreti del tempo. Dovendo essere rapidamente esemplificativo, dirò che anche all'interno delle chiese c'è questa dualità. C'è chi vuole ristabilire il modello dalla tribù, del sacerdozio, anzi si ritorna ad usare la parola "sacerdoti" per parlare dei ministri della Chiesa mentre il Concilio ha avuto il pudore di non usarla, dato che essa sta bene solo a Cristo che ha assorbito in sé tutte queste funzioni e le ha comunicate a tutti coloro che sono nella fede. Questa dialettica è presente e ci lacera. Questa lacerazione è storicamente inevitabile perché non si passa da un'epoca all'altra per un "diktat" che venga dall'alto, ma solo per maturazione delle coscienze. E' questa la faticosa via, l'unica produttiva, che dobbiamo seguire nel nostro cammino storico. Finalmente Cristo tra la sua legge d'amore e la legge giudaica. Anche questa è sempre legge d'amore perché nella pagina del Deuteronomio che abbiamo letta l'osservanza delle leggi di tipo giudaico era sempre riferita all'amore: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze". Gesù non muta virgola, però l'amore di cui parla ha una nuova verifica che sembra un nulla ma capovolge il suo senso. Senza dubbio anche i Farisei del tempo di Gesù erano amanti di Dio e sinceramente, e lo amavano attraverso il rispetto delle leggi, portato fino all'estremo ed anche questo rispetto delle leggi, se la ragione formale è l'adorazione di Dio, è qualcosa che merita ammirazione. Soltanto che questo amore subisce la stessa degenerazione che abbiamo indicato anche nella fede in Dio. Quale Dio? quale amore? Ormai l'escavazione che la cultura critica ha fatto nei sottofondi dell'uomo ci fa capire che nelle devozioni si nascondono, per trasferimento, bisogni diversi. Un tempo potevamo commuoverei anche noi nel vedere uno che pregando aveva le lacrime agli occhi, ma le lacrime hanno tante sorgenti! I modi con cui il nostro universo simbolico scambia i punti di destinazione sono così abili! Noi, a volte, nelle nostre devozioni, trasferiamo bisogni di altra natura. Non abbiamo più l'innocenza – la chiamo così – di un tempo, nel pensare ai moti dell'uomo. Non possiamo non pensare se non attraverso un filtro critico: sarà una tribolazione ma è una necessità storicamente maturata. Così quando si dice che dobbiamo amare Dio dobbiamo stare attenti a non cadere nel fanatismo. Gesù cosa ha fatto? Ha congiunto – come di Lui si dice, teologicamente, che l'umanità e la divinità sussistono in una sola persona – in un solo comandamento l'amore di Dio e l'amore del prossimo. Questa congiunzione non deve essere vista in modo tale da dire che è nel nome di Dio che si ama il prossimo, facendo anche qui l'itinerario che passa da Dio per arrivare all'uomo. Il processo è opposto. Tu ama il prossimo e se lo ami forse ami Dio. Non si tratta di un amore del prossimo applicativo dell'amore di Dio. C'è un amore di Dio che fa degli uomini gli strumenti delle proprie epopee ma un uomo, quando è strumento di qualsiasi cosa, è offeso. L'uomo non è via a niente, è un termine, è un termine in cui – ecco il mistero del discorso cristiano – trova coincidenza la presenza di Dio. Diceva, con argomentazione che tante volte ripeto anche parlando qui, la lettera di Giovanni: "Se uno non ama l'uomo che vede come fa ad amare Dio che non vede?". Può sembrare una frase molto ingenua invece è tutta la sostanza del Vangelo. Per sapere se amo Dio bisogna che io sappia se amo il prossimo. E come faccio a sapere se amo il prossimo? Se amo il prossimo che mi rassomiglia posso aver sospetto che il mio amore sia una dilatazione dell'amore di me o di una mia necessità. Devo amare il prossimo che mi è dissimile come succede nel modello del Samaritano, perciò anche qui Gesù porta l'estrema specificazione: l'amore del nemico diventa rivelazione dell'amore di Dio…

 

Ernesto Balducci – da: “Omelie varie” – Anno B

 

 

 

 

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