4 Maggio 2014 – 3^ DOMENICA DI PASQUA – Anno A
4 Maggio 2014 – 3^ DOMENICA DI PASQUA – Anno A
Noi dobbiamo andare ad annunciare che non è vero che Pilato e Caifa possono fare in eterno il loro gioco. Non è vero. È possibile che venga un mondo diverso.
1 Pt 1, 17-21- VANGELO: Lc 24, 13-35
…Noi abbiamo alle nostre spalle un giudizio sul mondo necessario alla fede: chi è conforme a questo mondo non è un credente, chi accetta che il mondo vada così è un miscredente, anche se va tutti i giorni in chiesa, perché non ha compreso né il mistero di Dio né il mistero dell’uomo. È la ferita del cuore che nasce dallo spettacolo del mondo che genera la speranza, Questo, da parte dell’uomo, è tutto il possibile. Quando però c’è questo, ci può essere l’incontro con il Dio che si è fatto nostro fratello in Gesù Cristo. La via di Dio verso l’uomo rimane la fraternità nel senso ricco, profondo; nel senso che noi dobbiamo , proprio perché questo è avvenuto, costruire un mondo fraterno. Il nostro impegno nel mondo è questo. Noi dobbiamo andare ad annunciare che non è vero che Pilato e Caifa possono fare in eterno il loro gioco. Non è vero. È possibile che venga un mondo diverso. E così dobbiamo anche portare l’annuncio a tutti i disperati che la loro speranza di un mondo nuovo è santa, è benedetta e dobbiamo mostrare Dio a questo livello. Non dunque fare una predicazione su Dio per sconfiggere gli atei, perché rientreremmo nel gioco perverso delle competizioni dove Dio diventa strumento di volontà di potenza e di oppressione. Dio esce fuori da questi nostri quadri ed entra nella semplicità di un convito per cui i nostri occhi si aprono semplicemente perché toccati da una luce che suscita in loro una potenzialità che li trascende. C’è in noi una capacità che supera, che è oltre le nostre effettive realizzazioni e questa luce che ci penetra dentro ci fa vedere, senza dare a questa parola nessun significato di evento psicologico eccezionale, anzi accettando questa dimessa domesticità di Dio che non è nel rumore, nel chiasso, nel comizio ma è nella trama dei rapporti in cui l’uomo scopre se stesso nell’altro. In questa reciprocità, tessuto altissimo delle possibilità umane, in cui si celebra l’amore – l’amore coniugale, l’amore familiare, l’amore dell’amicizia – entra, con passi silenziosi, il mistero di Dio. Il resto è menzogna. Se accettiamo questo appuntamento perenne possiamo anche sentir morire dentro di noi tanti dubbi, tante incertezze. Vorrei anche dire, nel chiudere, che anche se la fede rimanesse al livello della speranza, non fosse niente di più che una speranza in cammino, benediciamo Dio perché anch’essa è fede. Non ci permetteremo di separare i credenti dai non credenti perché questo appartiene, ancora una volta, alla nostra volontà di dominio. Noi lasceremo a Dio il giudizio. Ci sono persone che vivono nella speranza e non hanno visto ma il regno di Dio è nel loro cuore. Questa è la nostra certezza. Allora la nostra coscienza di credenti si fa mite, non discriminante, non aggressiva; non si permette di distinguere chi è con noi e chi è contro di noi perché tutto questo è prima del limitare, e prima dell’evento. Questo nuovo modo di credere è come una esigenza che nasce dalla «condotta vuota dei nostri padri». Voglio ripetere questa parola forte. La condotta dei nostri padri è stata vuota perché essi ci hanno insegnato a credere come «credere, obbedire, combattere». Essi ci hanno inserito in una visione di fede che portava in sé un istinto oscuro di aggressività verso gli altri. È condotta vuota e nefasta. Noi dobbiamo ricominciare come se davvero alla nostra generazione fosse affidato – è il mistero di Dio – il compito di realizzare una presenza di fede che abbia i tratti, la mitezza e la fecondità della fraternità fra gli uomini.
Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi”, vol. 1 – Anno A