4 Giugno 2017 –PENTECOSTE- Anno A
4 Giugno 2017 –PENTECOSTE- Anno A
Anche l’unità d’Europa si sta facendo secondo un criterio di omertà e col desiderio di alzare una cintura, di allargare il fossato di Gerico in modo che nessun negro lo passi oppure passino quelli di cui abbiamo bisogno perché lavorino. Questa è la nostra unità babelica. Noi dobbiamo agire secondo lo Spirito, pur sentendo che questo è un rischio immenso, con quella capacità creativa, con quello spirito di avventura che i primi discepoli ebbero.
PRIMA LETTURA: At 2, 1-11- SALMO: 103- SECONDA LETTURA: 1 Cor 12, 3b-7. 12-13- VANGELO: Gv 20, 19-23
…Quando una chiesa si preoccupa di essere coerente con quello che diceva un secolo fa, cinque secoli fa, dieci secoli fa ha una preoccupazione carnale. La continuità secondo lo Spirito procede per rotture, come la vita. Una continuità meccanica, un «continuum» senza fratture è diabolico. Anche la nostra vita umana è fatta, se è creativa, di improvvise rotture non di coerenze formali, estrinseche che ci immobilizzano alla stregua del principio di identità. La vita è sempre diversa. Lo sentiamo. La nostra identità è piuttosto quella del macigno e ci rende rigidi. Questa identità nuova, però, che viene dallo Spirito, è l’identità a cui ci abbandoniamo. Gesù Cristo non è un punto di riferimento al passato, diventa semmai un segno del futuro. Infatti chi crede in Gesù secondo lo Spirito non pensa al Cristo che abbiamo formulato e modellato nelle nostre teologie e nella nostra iconografia e nella nostra liturgia, pensa al Cristo del futuro. Chissà com’è? Nel suo volto ci sono i volti di tutti gli uomini. Egli è nero, bianco, giallo. Non è un semita, è l’uomo. Quando verrà, nella sua pienezza di risorto, sarà la pienezza dell’umanità. Così si legge Cristo secondo lo Spirito, senza armi in mano. La nostra memoria è fatta di professioni di fede fatte con la spada in mano, con la tendenza a scomunicare gli altri che non la pensano come noi. Non mi meraviglio nemmeno, perché abbiamo vissuto l’aspirazione dello Spirito Santo dentro i quadri dell’aggressività che abbiamo ereditato e che ancora sono fortissimi in noi. Se ci si pensa bene – e questo è l’aspetto più angoscioso ma anche più liberante di una fede secondo lo Spirito Santo – ogni volta che si è definito un dogma si è ammazzato qualcuno. Non che la definizione non abbia un senso, ma se non è secondo lo Spirito essa è l’espressione della volontà di dominio, anche di dominio su Dio. Invece, il Dio che amiamo è un Dio incognitus, un Dio sconosciuto per cui Egli abita al di là di tutte le barriere che la nostra intelligenza e la nostra immaginazione hanno costruito nelle varie parti del mondo. Il Dio in cui crediamo è il Dio incognito che attraverso Gesù ci si è manifestato come amore nello Spirito Santo. È importante pensare allo Spirito Santo non come ad un di più, ma come alla cifra legata al mistero di Dio. Lo Spirito Santo è quella potenza che scrive il nome di Dio e poi lo cancella subito. Questo movimento interno ci rende capaci di una lingua che è la lingua ecumenica del domani a cui aspiriamo. Noi vediamo, per tornare all’attualità, come la fine delle piramidi ha fatto riemergere le tribù. Ognuno ricerca la lingua nativa I paesi dell’Est europeo ritrovano, ciascuno, la propria lingua. Perfino nell’Italia ciascuno ritrova la sua lingua. C’è come il bisogno di riappropriarsi della lingua come intimità, come luogo di identità, ma questa è identità che perde l’universalità. La vera lingua è quella che è fedele alla nostra indole nativa ma è insieme universale. È la conciliazione degli opposti. La lingua universale, l’esperanto dello Spirito, non la costruiremo mai. Essa non può essere una costruzione dall’esterno, è una costruzione dall’interno, dal profondo, in quel crogiuolo che vi ho detto essere il punto di unificazione di tutte le tribù della terra, in cui siamo tutti uguali. Ciò che ci definisce non è ciò che abbiamo fatto ma ciò che sarebbe possibile fare. Lo specchio della nostra identità è nell’arco del possibile non nella condensazione del già fatto, dove c’è anche la violenza sacralizzata e legittimata. Capisco che non è facile passare dal riconoscimento nell’unità messianica della specie umana a provvedimenti concreti, empirici, quotidiani. Lo so. Si tratterà di mediare questa prospettiva, che riemerge stupendamente, con scelte concrete di ordine politico, economico. Non ci vuole molto a capire che quelle che abbiamo ora sono tutte dell’età di Babele. Anche l’unità d’Europa si sta facendo secondo un criterio di omertà e col desiderio di alzare una cintura. di allargare il fossato di Gerico in modo che nessun negro lo passi oppure passino quelli di cui abbiamo bisogno perché lavorino. Questa è la nostra unità babelica. Noi dobbiamo agire secondo lo Spirito, pur sentendo che questo è un rischio immenso, con quella capacità creativa, con quello spirito di avventura che i primi discepoli ebbero. Siamo alle soglie di questo tempo. Senza voler riecheggiare nessun linguaggio millenaristico, calandomi nella misera nostra arida cronaca, sono convinto che quello che ho detto getta qualche luce nei conflitti che viviamo oggi e ci apre l’animo a speranze che ieri non erano sperabili, a speranze che davvero i muri cadano, che davvero i popoli si uniscano, che veramente i potenti siano confusi. E possibile, ma occorre che questa speranza sia pagata con le nostre scelte….
Ernesto Balducci, da: “Gli ultimi tempi” – Vol. 1 anno A