30 Ottobre 2016 – 31^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
30 Ottobre 2016 – 31^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
Leggete i fatti del nostro ambiente fisico in questa luce: il deserto si allarga, il mare non ha più pesci, i nostri cipressi ingialliscono. È la civiltà del disprezzo. Io mi rifaccio al mio Dio che è amante della vita e che non disprezza niente di quanto ha creato: nemmeno l’insetto, nemmeno la lucertola, nemmeno ciò che calpestiamo passando.
PRIMA LETTURA: Sap 11,22-12,2- SALMO: 144- SECONDA LETTURA: 2 Ts 1,11 – 2,2- VANGELO: Lc 19, 1-10
…La salvezza – ed è una operazione di tutti i giorni – è il passare da un rapporto mercificato a un rapporto conviviale. Gesù converte quest’uomo quando egli si colloca al di fuori della polarità del disprezzo. Zaccheo disprezza i poveri, i poveri disprezzano lui e Gesù da che parte è? Si colloca al di là dei due. Non perché sia interclassista – gli interclassisti sono con i ricchi, ovviamente – si colloca fuori, alla radice e muove le coscienze. I poveri sono stupefatti: Costui sta con un peccatore! Gesù vuole liberare quest’uomo dal peccato, cioè dalla sua etica del possesso e dello sfruttamento e ci riesce. Quel convito diventa la resurrezione di un uomo, la salvezza. Voi capite l’importanza di tutto questo. Non voglio stabilire analogie strette e meccaniche con l’azione politica e i suoi programmi, però non posso tacere questo: ogni opera di giustizia sociale che si realizzi attraverso la violenza porta in sé una carica di disprezzo che non si toglie. Se facessimo una società giusta, con una distribuzione economica perfetta, mettendo in prigione i ricchi avremmo caricato la società di disprezzo: il male è il disprezzo che pullula nuove forme di disprezzo. Al di là del denaro, il disprezzo è l’oppressione, è la burocrazia, è l’autocrazia… Insomma, il disprezzo è la radice di tutti i mali della nostra storia. Ecco perché anche Dio diventa assente. In un mondo che si disprezza Dio non c’è. Come volete fare a dimostrare che Dio c’è in un mondo dove il disprezzo domina tutto, dove anche i preti, i teologi disprezzano? Anche noi non siamo stati pieni di disprezzo per gli infedeli, gli eretici, gli scismatici, i peccatori? Non c’è nell’occhio dell’uomo religioso un profondo disprezzo per la vita? Cosa volete che capisca! Il Dio di cui parla è una specie di cifra sublime e misteriosa del disprezzo universale. Questo Dio che prepara l’inferno, che aspetta gli uomini per metterceli, è un Dio che disprezza. Non siamo degni di parlare di Dio finché non ci siamo liberati dall’ombra del disprezzo che circola nelle teologie e nelle liturgie. L’altro giorno abbiamo parlato del Fariseo che disse: «Grazie o Signore perché non sono come quel peccatore laggiù». Questa gratitudine infame è anche in noi. Grazie o Signore perché non sono nato negro, perché… Questa gratitudine piena della soddisfazione sottintesa di non essere come gli altri, è il disprezzo. Potremmo parlare di Dio con purezza se fossimo liberi dal disprezzo, perché altrimenti anche il nostro parlar di Dio è un veicolo di disprezzo. Vedete che qui siamo ricondotti alla radice del male da cui ci è possibile percepire, quanto meno, le vie della salvezza. Sono certo vie gracili. Lo capisco, i nostri atti di salvezza sono poveri, però sono gli unici che ci danno gioia. Se un giorno siete riusciti a dischiudere il cuore di un figlio che era acerbo con voi ed ad abbracciarvi con ritrovata amicizia, avete operato la salvezza. Se avete suggerito ad un ricco un momento di vergogna per quel che fa e un desiderio di stabilire un rapporto fraterno con gli altri, avete operato la salvezza. Direte: ma poi tutto si richiude. È vero, ma questi germi, queste seminagioni di un nuovo modo di esistere, prima o poi dovranno fiorire. Allora forse riavremo una natura pacificata con noi. Leggete i fatti del nostro ambiente fisico in questa luce: il deserto si allarga, il mare non ha più pesci, i nostri cipressi ingialliscono. È la civiltà del disprezzo. Io mi rifaccio al mio Dio che è amante della vita e che non disprezza niente di quanto ha creato: nemmeno l’insetto, nemmeno la lucertola, nemmeno ciò che calpestiamo passando. Francesco quando camminava e trovava un bruco, allungava il passo per non toccarlo. Lo so che questo potrebbe essere inteso male, come se questo significasse un’astensione da parte dell’uomo di un rapporto di uso con la natura, ma il suo male è che il rapporto di uso diventa rapporto di scambio, cioè le cose sono viste con occhio da mercante per cui tutto cambia senso. Liberarci, salvarci vuol dire ritrovare la convivialità dell’esistere, un rapporto in cui l’altro, anche la creatura inanimata, prima di essere usato va compreso perché le cose hanno un segreto nel cuore. Dobbiamo dischiuderlo per ritrovare una mitezza nel vivere nell’universo, una pazienza, una misericordia, una benevolenza verso tutto. Per chi condivide la civiltà del dominio questi discorsi sono troppo radicali, però essi hanno una saggezza che sta prima delle traduzioni complesse di ordine economico e politico che pur dobbiamo realizzare. Nell’ascoltare questo messaggio profetico, siamo stati condotti a collocarci prima degli altri discorsi (economico, politico), prima di quella linea ineffabile che corre tra il cuore di Zaccheo e quello di Gesù, tra il cuore di Zaccheo e quello dei poveri che fino a quel giorno aveva sfruttato: è la linea del nostro comune destino, della nostra comunanza con tutte le cose, al di là dell’animato e dell’inanimato. Francesco diceva: «Dobbiamo obbedire anche alle creature inanimate». Obbedire alle creature vuol dire ascoltarle. Prima di afferrarle, prima di metterle sulla nostra tavola, prima di cibarcene dobbiamo ascoltare le creature. Cos’è questo? Lirismo mistico o sapienza umana? Io credo che sia la sapienza di cui abbiamo bisogno e che diventerà sempre più assillante per noi perché siamo gli eredi ultimi della civiltà del disprezzo, che non sappiamo più fidarci di nessuno in quanto il disprezzo ha creato il sistema della diffidenza, dell’inganno sottile. È la giusta mercede che abbiamo ricevuto. L’opera di salvezza consiste dunque nel liberare l’uomo dalla cultura del disprezzo e restituirlo a quella della fiducia, dello scambio. È un’opera straordinaria…
Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” vol. 3