30 Giugno 2024, 13° Domenica T.O.

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Prima Lettura Dal libro della Sapienza Sap 1,13-15; 2,23-24
Salmo 29
Dalla seconda lettera di San Paolo ai Corinzi, 2Cor 8, 7.9.13-15

Dal Vangelo secondo Marco Mc 5, 21-43

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Non possiamo nasconderci che molte nostre pacifiche certezze si sono oscurate.
Anche tra coloro che vivono e professano la fede cristiana, diminuisce l’abitudine
di riferirsi alla morte e all’al di là, quasi che le rappresentazioni dei novissimi su cui
poggiava, nel passato, la coscienza, si fossero rivelate instabili. Una specie di
perplessità suggerisce un cauto silenzio su questi temi. E io penso che questo cauto
silenzio sia un tributo e alla ragione e alla fede, perché, indipendentemente da
quanto ci è stato trasmesso dalle tradizioni, la fede ben poco ci dice sull’al di là, ben
poco ci dice sul mistero della morte. Parlo della fede che si fa matura, si libera
dagli involucri dell’età infantile e accetta le proprie oscurità, senza fingere. E
tuttavia la fede dice qualcosa di grande, che non appaga, certo, l’immaginazione,
ma tocca il fondo delle coscienze e le arricchisce di una certezza da cui prorompe la
speranza indomabile della vita immortale. La ragione, per suo conto, ha superato le
visioni mitiche e ingenue dell’uomo. Sembra decaduta la visione dell’uomo come
composto di anima e di corpo, a partire dalla quale la immortalità sembrava come il
portato naturale della qualità dell’anima, che non essendo fisica, non si corrompe, è,
di sua natura, immortale. Questa antropologia è ormai confinata nei manuali, non
ha più molto vigore. Sicché ci troviamo senza linguaggio. Ma credo non sia giusto
eludere questo tema solo per la povertà di strumenti che abbiamo a disposizione.
Credo che l’attuale circostanza, anche se ci impedisce tracotanze verbali, sicurezze
presuntuose, ci sospinge verso un più serio atteggiamento di fronte a questo che è il
mistero dei misteri, per quanto ci riguarda: il mistero della nostra morte.
Vorrei che voi poneste in rapporto, come due quadri di un dittico, le grandi e
sconcertanti affermazioni del brano della Sapienza, e la vivace narrazione del
Vangelo Marco che ci pone Gesù come assediato dalle malattie e dalla
morte. Fra l’altro era stato ucciso da poco Giovanni il Battista. Marco ha già dato
notizia della trama omicida che i nemici di Gesù stanno conducendo per eliminarlo.
Possiamo dire che Gesù vive assediato dalla morte.
Due sono le riflessioni che vorrei fare: l’una di principio, l’altra a partire dai fatti.
Intanto non deve sfuggirvi la singolarità di queste affermazioni: che Dio ha creato
tutto per l’esistenza, che Egli non ha voluto la morte. Questa affermazione contrasta
direttamente con quelle religioni, pur prestigiose, secondo le quali la morte non è
che guarigione dalla malattia della vita: è la vita che è un male; uscirne, per l’uomo
religioso è un bene. Qui abbiamo l’affermazione diametralmente opposta: la vita è
un bene e la morte è una sventura che Dio non ha voluto. La morte c’è, ma non
doveva esserci. Questo tocco di illegittimità, gettato sulla morte, è fondamentale
per una visione della vita che sia conforme alla fede. È qui che noi abbiamo il
compito di liberarci da quei sentimenti governati dall’istinto di morte, su cui è
campata, diciamo, la fede devota. Tutti ricordate certi simboli di morte (i drappi
neri, i teschi) che facevano da cornice ad una devozione appassionata. Noi
dobbiamo ancora cercare una religione ispirata dall’istinto della vita, perché è da
questa parte che si trova Dio. L’istinto della Vita è l’istinto dell’Amore.
Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

/ la_parola