30 GENNAIO 2022 – IV DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
30 GENNAIO 2022 – IV DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
PRIMA LETTURA:Ger 1,4-5.17-19 SALMO:70, 1-2; 3-4; 5-6; 16-17 SECONDA LETTURA: 1Cor 12,31-13,13
VANGELO: Lc 4,21-3O
La fede non è soltanto la sopportazione del presente in vista di un godimento dopo: la fede è conoscenza del mondo secondo Dio. E la carità, che si illumina della cognizione di fede diventa un progetto di vita basato su questa conoscenza. È a questo punto che Gesù diventa un modello. Gesù ha vissuto del tutto dedito al disegno di Dio, che comporta anche 1’eguaglianza degli uomini. Per affermare questa eguaglianza degli uomini egli fustigò l’orgoglio del suo popolo, adducendo eventi di salvezza accaduti al di fuori dei confini di Israele, perché il particolarismo orgoglioso si spezzasse e il suo popolo si salvasse. Cosi noi siamo veramente nella carità se essa ci porta ad aderire ad un progetto del mondo in cui noi, se necessario, saremo mortificati e annientati. La carità non è dunque, una virtù interna al sistema; è una cognizione e un progetto conseguente che rimette in questione tutto il sistema in cui siamo. Se io predicassi che il disegno di Dio si adempie tra i negri, o nelle enormi estensioni del Brasile dove vivono gli uomini più affamati del mondo, che è proprio là che si prepara il futuro, è là che la vendetta di Dio contro di noi sta maturando, io direi cose estremamente probabili, conformi comunque alla logica della carità. La carità, dunque, è una cognizione che ci porta al di là dei rapporti intersoggettivi minuscoli e quotidiani e investe il destino dell’uomo. Gesù non ha fatto che questo! Egli, appunto, ha detto che i figli del Regno sarebbero stati sostituiti da uomini venuti dall’Oriente e dall’Occidente. Oggi noi viviamo proprio nel cuore di questo conflitto, e Dio solo sa quanto è difficile poterne emergere senza smarrimenti di coscienza. Chi vive nella carità vive dentro di sé questo spodestamento, che non è solo lo spodestamento ascetico-individuale, è uno spodestamento conoscitivo globale. Quando l’ideologia del nostro sistema ci vuol persuadere, poniamo, di certe identità culturali dell’uomo, noi dobbiamo ribellarci, perché l’uomo è diverso. Anche le ideologie hanno un carattere transitorio: esse sono interne ad un itinerario, non lo sovrastano. L’uomo è oltre. Noi non abbiamo come cristiani altro criterio di discernimento per le filosofie se non questo: ogni filosofia che vuol definire l’uomo è da respingere, perché l’uomo è diverso: perché il suo senso è nel futuro. Di qui la forza demistificante della fede contro tutte le teorie dell’uomo, che si pretendono definitive e sufficienti. Questa liberazione dalla cultura è un fatto straordinario, che deriva dalla carità. Una carità intesa come virtù conoscitiva; come dedizione al futuro, agli altri, al mondo che verrà, come spodestamento di noi stessi! È questo il vero sacrificio cristiano. Perché noi potremmo essere virtuosi di quella virtù che Gesù ha fustigata per tutti i secoli dei secoli, nella sua Parabola del fariseo. Ci sono uomini « virtuosi » che hanno soggiogato le coscienze, si sono posti come modelli, e sono riusciti a suggestionare gli altri. Ma Gesù ha spezzato quel modello. Egli è apparso come delinquente; è stato computato fra i peccatori, perché viveva fuori del sistema delle virtù collaudate e verificate. La carità ci spinge verso gli orizzonti nuovi. Ci porta a vivere estranei allo stesso mondo in cui pur viviamo e decidiamo di vivere. Gesù non superò i confini di Israele, ma viveva fuori: era dentro, ma portò l’universo (gli uomini del suo tempo e quelli del futuro) dentro quel mondo così angusto, che scoppiò per questa presenza, per questo peso specifico insopportabile. Non abbiamo il dovere di andarcene fuori da nessun posto. Se nel posto in cui siamo portiamo l’universo, gridiamo le attese dei lontani, compiamo lo stesso gesto che Gesù ha compiuto, qui, nella sinagoga di Nazareth. Finché i Nazareni potevano dire: «Gesù che predica, fa miracoli, trascina la folla, è nostro, è nostro concittadino », tutto andava. Ma tutto mutò quando Gesù disse che nessuno è profeta in casa sua, perché nella sua casa il profeta non esalta i grandi destini della Patria, anzi parla di quelli che sono fuori dai confini e li esalta. La patria lo respinge. Vivere la fede secondo la dimensione della carità significa, dunque, scoperchiare le presunzioni consolidate, diventare estranei in casa, starci a costo di esser buttati fuori, star dentro il mondo in cui siamo perché questo si allarghi, apra se stesso alle aspirazioni che emergono dal basso o lo circondano e lo assediano. La fede non è legata a nessuna forma storica, perché il suo luogo è il futuro conosciuto ancora confusamente. Molte critiche che sono state fatte al modo tradizionale di parlare di Dio, sono giuste, perché abbiamo sacralizzato molte alienazioni sociali nell’idea di Dio. Ma quando un profeta parla di Dio, ne parla in un modo che i tutori di Dio, gli specialisti di Dio, vogliono lapidarIo, perché il profeta parla del Dio diverso. La conoscenza di Dio è una proiezione verso il futuro e quindi tutti coloro che vogliono circoscrivere nel presente il senso di Dio, il senso della vita, il senso dell’uomo, costoro sono i nemici di Dio e dell’uomo. Quando Gesù disse: «Chi vuol essere perfetto, prenda la sua croce e mi segua» non voleva parlare dei fioretti e delle mortificazioni. Voleva dire: prendi questa croce che io prendo e vieni con Me. Dove? Appunto sul monte dove c’è la crocifissione, dove gli stessi compatrioti diranno: «Crocifiggilo », dove gli stessi beneficiati si scaglieranno contro di Lui, perché gli stessi beneficiati, spesso, sono interiormente complici di quel dominio dei potenti che si sperava di avere spezzato. Una fede radicata in questa carità conoscitiva, è profetica, e viene pagata giorno per giorno. Ciascuno di noi, dunque, prenda questa croce della carità e della conoscenza che ne deriva e la porti. È questa l’imitazione di Gesù Cristo.
Ernesto Balducci – da : “Il mandorlo e il fuoco” vol. 3