3 settembre 2023 XXII Domenica T.O.

3 settembre 2023 XXII Domenica T.O.

3 Settembre 2023 22a Domenica t.o.

Prima Lettura Ger 20, 7-9

Salmo Responsoriale (Sal. 62)

Seconda Lettura Rm 12, 1-2

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 16, 21-27

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Anche se non ce ne accorgiamo, le nostre più vere tristezze — quelle tristezze che
non hanno ragioni particolari, ma che si insediano nell’intimo del nostro animo
come un sedimento calcificato e che pian piano tolgono la voglia di vivere — sono
l’inevitabile salario di chi si conforma alla mentalità del tempo. Questa conformità
sembra pagare subito, garantire, entro certi limiti, il successo, la sicurezza, una rete
di amicizie influenti che sono sempre una buona garanzia per il futuro, la

realizzazione di progetti misurati sul possibile, su quello che normalmente si ritiene
giusto desiderare. Ebbene, questa vita così riuscita è pagata cara perché giorno
dopo giorno, scelta dopo scelta, per un’addizione di infinitesimi, ci costruiamo una
vita esiliata, distaccata dalla radice. Qual è questa radice da cui non dovremmo mai
staccarci che però, una volta che diventa attiva, ci crea tribolazioni e guai? Oggi mi
ha colpito (sempre, ma oggi con una certa dose di illuminazione) questa immagine
di Geremia: «Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa. Mi
sforzavo di contenerlo, ma non potevo». Cosa è questo fuoco, al di là di ogni lettura
carismatica ed esaltata? Questo fuoco nasce dalla percezione, che forse sta alle
origini della nostra vita che in noi ci sono attese che riguardano l’umanità intera,
che sono così sproporzionate che appaiono, secondo le misure del mondo
dominante, assolutamente impossibili. Ma quando uno si è innamorato di questa
prospettiva contrae un fuoco interno, una specie di impazienza, di inquietudine a
cui non si sa dare un nome, che può anche portare a squilibri patologici. Non
sempre le nostre malattie sono segno di un difetto della natura, forse spesso sono
segno di un eccesso, di un fuoco eccessivo, di una mancanza di equilibrio tra ciò di
cui siamo innamorati e ciò che è possibile nelle misure del quotidiano. Questo

eccesso rende inaccettabile la vita. Questa scoperta — già al livello etico-
antropologico, senza per ora chiamare in causa lo Spirito Santo — è la scoperta di

un significato del vivere che non troviamo scritto in nessun libro, in nessun codice,
in nessun programma politico, in nessuna tradizione morale della vita che pure
accettiamo: c’è una diversità. È questo il versante umano su cui, eventualmente,
batte la luce della promessa messianica. La gioia che viene dalla fede — se viene
—, quando la fede è autentica, nasce dalla inattesa combinazione tra questo
versante inedito, segreto, dell’esistenza e la premura di Dio. C’è un Altro che ci
assicura che così è giusto, che questo è il senso. Nasce allora l’impazienza profetica
che però porta con sé la rimessa in questione degli elementi del mondo o, come
dice il Vangelo di Matteo, del pensare secondo gli uomini. Pensare secondo gli
uomini di per sé non è una cosa indegna. Forse possiamo pensare diversamente?
Che cosa impariamo, già sulle ginocchia della madre, a scuola e nella nostra
conversazione sociale sempre più larga, se non a ragionare e pensare secondo gli
uomini? Non siamo mica angeli, né bestie! Siamo uomini. C’è quindi una necessità
da cui non dobbiamo mai isolarci. Il pericolo del fanatismo è di non tener conto di
questa nostra provvisoria necessità, di parlare come tutti parlano, di accettare certe
regole della vita. Questo è un impegno che oltretutto è la garanzia della nostra
incarnazione nel mondo. Anche Gesù parlava come gli uomini del suo tempo,
seguiva le pratiche che seguivano gli altri. La sua diversità non ha strappato il
fragile tessuto del mondo quotidiano in cui era inserito. Ci sono modi di resistenza,
di riluttanza che non sono affatto il segno di quel fuoco di cui vi dicevo prima.
Possono essere il segno di un amore di sé, di una volontà egoistica di affermarsi a
dispetto di tutti.

Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A

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