3 Marzo 2019- OTTAVA DOMENICA TEMPO ORDINARIO – ANNO C
3 Marzo 2019- OTTAVA DOMENICA TEMPO ORDINARIO – ANNO C
La giustizia di Dio non è come quella che sognano i visionari, che scende dal cielo, viene dalle cose. La giustizia di Dio inesorabile è la forza delle vittime che si mettono insieme per scuotersi di dosso il giogo fatto dalle nostre parole che ci dovranno tornare addosso a nostra vergogna.
PRIMA LETTURA: Sir 27,4-7- SALMO: 91- SECONDA LETTURA: 1 Cor 15,54-58- VANGELO: Lc6,39-45
…A chiunque mi viene a parlare con enfasi del diritto dico: «Guarda la trave che hai negli occhi, non inveire contro quelli che si ribellano. Se prima non hai guardato la trave che hai negli occhi non puoi togliere la pagliuzza che è nell’occhio del fratello». Noi sterminatori non dobbiamo scandalizzarci che le vittime comincino a sterminare, dobbiamo provvedere convertendoci, modificandoci. Questo è vero sia nel senso planetario e sia nel nostro mondo privato dove difendiamo la giustizia attraverso gli organismi istituzionali e non ci domandiamo se per caso questa giustizia quando dovrebbe compiere quelpaso per cui è nat, l’aiuto del povero e del misero, si tiri indietro. Siamo scandalizzati – veramente perché è un male terribile – dalla mafia e non ci domandiamo se per caso noi non viviamo dentro un’altra mafia. Potremmo dire a tanti: ipocrita, togliti la trave dall’occhio. Eppure, nonostante tutto, abbiamo bisogno, per non franae nella disperazione collettiva, di appoggiarci ad alcune convenzioni, ad alcune grandi parole, alle grandi Carte in cui l’uomo ha propiettato quanto meno la sua aspirazione più positiva perché almeno in questo senso quelli sono frutti buoni dell’albero buono. Ma non appena si tratta di assecondare gli impegni assunti con quelle parole dobbiamo essere inesorabili, vogliamo che quelle parole siano vere nei fatti. Non vogliamo cancellarle dal nostro orizzonte perché il mondo diventerebbe buio, vogliamo che quelle parole siano vere nei fatti. Non possiamo sopportare, come i nostri padri hanno sopportato, di andar in giro – come i Farisei del Vangelo – con le filatterie in cui è scritto che tutti gli uomini sono uguali e poi non è vero niente. Non possiamo, vogliamo che siano uguali. Quando diciamo questo subito i custodi delle parole si scandalizzano: voi siete sovversivi. No! Noi vogliamo che le parole dette con solennità siano vere. Non è forse questo il senso della nostra dignità umana? Non dobbiamo limitarci a pronunciar le parole e gongolarci del loro suono ma voler che esse rispondano alla realtà delle cose. Lo facciamo? Non lo facciamo. promettiamo, prendiamo impegnima appena il fratello, che è offeso dal nostro modo di comportarci, si ribella ci scagioniamo con la violenza della giustizia. È terribile tutto questo. Led cifre dei fatti sono lì a dimostrarcelo. Leggevo proprio ieri di una relazione ineccepibile – niente meno che la relazione della commissione Giustizia e Pace della Santa Sede – che in questi anni, l’aiuto del Nord al Sud diminuisce di anno i anno. Poi ci meraviglieremo se domani un popolo si ribella in maniera violenta e interverremo con le nostre forze di pronto intervento. Ipocriti, il giudizio è su di voi. Quando dico questo non faccio che tradurre in un parametro più vasto le semplici parole del Vangelo. Verrà la giustizia. La giustizia di Dio non è come quella che sognano i visionari, che scende dal cielo, viene dalle cose. La giustizia di Dio inesorabile è la forza delle vittime che si mettono insieme per scuotersi di dosso il giogo fatto dalle nostre parole che ci dovranno tornare addosso a nostra vergogna. Questo è, un po’ confusamente, ciò che oggi mi ha svegliato nell’anima la lettura di queste pagine. Vorrei riassomere il senso di ciò che vi ho detto proponendovi come regola di comportamento quello che dice il primo brano della Scrittura per quanto riguarda la meditazione, la riflessione: «Quando un uomo riflette gli appaioo i suoi difetti». Riflettiamo ma non in senso puramente intimistico. Certo, ognuno di noi ha un peso di parole inadempiute, di promese smentite dai fatti – e ognuno porti la sua vergogna – ma ne abbiamo di parole dette collettivamente che sono la nostra condanna! Con le nostre ideologie abbiamo disseminato ideali altissimi ma coloro a cui erano destinati sono rimasti esclusi. Ecco perché c’è la crisi delle ideologie. È la crisi delle parole sensa senso, non delle ideologie in sé. La gentenon ci crede più dato che l’accumolarsi dei fatti ha portato una smentita clamorosa a ciò che abbiamo promesso, che in sé era giusto. È giusto promettere libertà a tutti gli esseri della terra ma lo dobbiamo fare. È giusto promettere giustizia, equa distribuzione dei beni a tutti gli abitanti del pianeta, ma dovremo farlo. Non lo facciamo e la miscredenza ci sommerge. Dobbiamo riflettere su questo, perché le nostre scelte, sia nel privato, sia pubbliche, devono essere dettate da questo bisogno di verità, di coincidenza fra parole e fatti. È un’esigenza che affatica lo spirito perché se noi uscissimo dal mondo di parole che abbiamo creato saremmo nel puro caos. Non possiamo entrare in questa vertigine, dobbiamo continuare a vivere nel nostro mondo di parole portando però dentro di noi il senso del pentimento di non averle adempiute. Pensate che sarebbe questo per una Chiesa che celebra l’Eucarestia e tuttavia non ha il coraggio di rinunciare a sé, ai propri privilegi… È una vergogna. Tuttavia continuiamo perché sappiamo che il massimo dei peccati è la dosperazione. Dobbiamo continuare a sperare contro ogni speranza, spes contra spem, come dice con forza la Scrittura. Questa speranza non ci viene concessa in una commozione domenicale, è il frutto maturato nel torchio della sofferenza morale. Chi non ha sofferenza morale oggi non è più capace di dire parole vere. Vi esorto ad aprirvi con tutta la vostra anima a questo senso di pentimento e di bisogno di verità che forse ci otterrà misericordia e ci permette di rivolgerci a chi ci ha detto che la morte è stata vinta con tutta dignità: aspettiamo che Tu ci renda conto di codesta parola. Dio deve renderci conto di quello che ha pronunciato perché i fatti, per ora, non corrispondono. Ma noi possiamo parlare con ardimento filiale a Dio dopo che abbiamo parlato con ardimento nei nostri confronti perché solo chi ha una sincerità aperta alla sofferenza può alzarsi al cospetto di Dio con dignità, provocandolo a far presto perché le sue promesse non siamo sulla testa come nuvole dorate, che non lambiscono la pietra dura delle cose, ma assumano le stesse cose e le trasfigurino. Solo la sofferenza morale può generare una legittima speranza.
Ernesto Balducci da: “Il tempo di Dio”- ultime omelie 1991-1992