27 Ottobre 2013 – 30^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
Ogni uomo di fede religiosa deve trovare, nella memoria storica della propria religione, i riferimenti concreti che danno alla professione di pentimento un contenuto reale.
PRIMA LETTURA: Sir 35, 15-17.20-22- SALMO: 33- SECONDA LETTURA: 2 Tm 4,6-8.16-18- VANGELO Lc 18, 9-14
…Noi dobbiamo insistentemente pregare per la pace, però dobbiamo stare attenti a non fare del ricorso alla preghiera una maniera di scansare le responsabilità effettive. Solo il povero può pregare per la pace con purezza. Chi ha i soldi già deve domandarsi se può pregare per la pace, in quanto "mammona di iniquità" è uno strumento di guerra. Chi ha posizioni di prestigio già deve dubitare di essere un uomo di pace perché chi è per la pace perde il prestigio. Quando le televisioni ci circondano per riprenderei vuol dire che siamo entrati in un gioco, nella società dello spettacolo dove già l'essere sul proscenio è un potere, il che non vuol dire che non dobbiamo accettare questa provocazione. Secondo un modo, per me giusto, di leggere la storia, proprio là dove si assommano le contraddizioni dobbiamo arrivare con la nostra coscienza, perché quello è il luogo dove noi possiamo, anche personalmente, dipanare le contraddizioni, gli imbrogli, le mistificazioni di cui consiste la nostra vita, almeno per la formazione che abbiamo ricevuto. Questo è dunque un momento importante per la storia del mondo. Il fatto che le religioni della umanità, le più importanti – usiamo pure questi termini anche se è una parola che dinanzi a Dio non ha molta importanza, ma dobbiamo pur usare le parole del nostro vocabolario – si incontrino, disarmate, senza più l'antagonismo di ieri, in nome della pace del mondo, è un fatto di grande importanza e dobbiamo sottolinearne la forza di proiezione nel futuro, perché nessuna religione può dire di essere immune dal sangue. La storia delle religioni è anche storia di sangue, e anzi spesso è la storia della sacralizzazione del versamento del sangue. Nessuno quindi può andare, come il fariseo, davanti a Dio, ma deve collocarsi umilmente come il pubblicano. Ogni uomo di fede religiosa deve trovare, nella memoria storica della propria religione, i riferimenti concreti che danno alla professione di pentimento un contenuto reale. Dobbiamo chiedere perdono a Dio delle crociate, dell'alleanza con i potenti, altrimenti la nostra preghiera non è pura. Noi non siamo nella condizione di quella povertà, che non solo è la esterna povertà. economica ma è una povertà interna, è una povertà esistenziale, è un distacco interno da tutto ciò che ieri ci rendeva gloriosi, grandiosi, prestigiosi dinanzi al mondo. Questo distacco ognuno lo deve compiere. Entrare sulle soglie ultime della storia, perché la prospettiva che abbiamo dinanzi non è quella di una crociata malaugurata ma è quella della catastrofe del mondo, significa, per forza di cose, avvertire che la storia delle separazioni delle religioni è finita. Quella storia è legata al particolarismo che ci ha partoriti e che ci ha abituati, in maniera quasi invincibile, a guardare gli altri con distacco e disprezzo: grazie, o Signore, perché non sono come i mussulmani, come i buddisti, come gli induisti e come gli idolatri. Questa fierezza cristiana è del tutto lontana dallo spirito di preghiera che ci viene indicato da Francesco d'Assisi che mandava i suoi frati fra i mussulmani ricordando loro di trattarli come fratelli perché "sono i nostri primi amici". La possibilità che uomini che vengono da continenti spirituali segregati o contrapposti l'uno all'altro si ritrovino amici è un fatto importante, è l'indicazione del tempo nuovo verso cui siamo incamminati, dove nessuna differenza deve farei ombra. Tutte le differenza sono il prodotto del nostro peccato perché se scendiamo lungo i rami della diversificazione del genere umano arriviamo alla unica radice che è l'atto creativo di Dio. Noi, lungo i rami delle diversificazioni, abbiamo creato uomini di divisione e non di unione per cui anche il nome di Dio oggi è un nome che divide.
Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol.3