24 Novembre 2024, Cristo Re
24 Novembre 2024, Cristo Re
Prima Lettura Dal libro del profeta Daniele Dn 7, 13-14
Salmo 92
Seconda Lettura Dal libro dell ‘apocalisse, Ap 1, 5-8
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 18, 33-37
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Gesu non parla a partire da una premessa religiosa, ma parla a partire da una premessa
umana. La parola mi si è dilatata nelle labbra: non è umana in senso limitativo, è dell’uomo,
è la verità che abita in noi, è quel punto indefinibile in cui noi avvertiamo di non essere
un anello nella catena delle cose, ma una fessura nella glaciale pianura delle cose, uno
spiraglio di diversità che attraverso di noi fa pressione sul mondo compatto che ci
schiaccia e che ci schiaccierà, perché la morte è il trionfo di questa inesorabile legge. C’è
in noi questa diversità. E il punto su cui da sempre la cultura si è cimentata, ora
chiudendo la fessura e persuadendo gli uomini che non c’è spiraglio alla ineluttabile
legge, alla necessità che ci afferra, ora sottolineando a tal punto questa diversità da rendere
irrilevante questo mondo e da farci abitare in impossibili iperurani, in paradisi inesistenti.
Gesu non ha detto: vengo a predicarvi la verita, ma Egli ce la testimonia, cioè il suo
essere è un segno di questa diversita, di questo regno diverso che è in ognuno di noi.
Chiunque viene dalla verità arriva al regno, perché nel regno di Gesu è cittadino
chiunque assecondi la verità che ha in sé. Il termine verità, nella nostra cultura, è come
una moneta di metallo, risuona. Lo scienziato sa cosa è la verità: la sua. Il filosofo ha la
sua e il teologo ha la sua. Tutti sanno cosa è la verità, ma ahimè essa è costruita con la
lega del metallo corruttibile della cultura esistente. Anche la piu stupenda filosofia è fatta
di leghe corruttibili. La verità di cui parla Gesti non è una verità oggettivata, misurata,
sottomessa alle verifiche; ma è una verità «dentro», è una verità che parla ed ha le sue
precise esigenze. Non è una verità quella di cui ciascuno fa quello che vuole. Nel
mondo di cui siamo figli se appena dico che ognuno deve seguire la sua coscienza è come
se dicessi che ognuno può fare il suo capriccio, in quanto ne1 mondo in cui si è vissuti
coscienza e arbitrio sono la stessa cosa, dato che quel mondo ha bisogno di veri tà
misurabili, constatabili, al controllo. Siamo diseducati. si regoli secondo coscienza non
do Siva ma do una norma severa. La che la coscienza ci propone in assoluto. E la vita
acquista la dignità che trascende il do voglio dare dei nomi a questi contenuti — sono
rigidi e fissi ma prendono forma, esigenze fiche a seconda dei luoghi e dei tempi — dico
giustizia, dico rispetto della persona altrui, dico pace, dico parole che danno nomi
molteplici a questa verità unica di cui Gesù è il testimone. Per esempio: non fa parte di
questa verità unica il dire che quando uno ha un regno se lo deve difendere con la spada.
Gesù dice a Pilato: se il mio regno fosse come il tuo, i miei avrebbero combattuto.
Combattere con la spada non è secondo verità. E secondo una verità provvisoria, che poi
è sempre contraria a se stessa. Infatti la nostra storia intera è solcata da fiumi di sangue
tutti versati in nome del principio che senza una spada un regno non si regge.
La conseguenza è che siamo sempre in guerra. E la verità friabile a cui mi assoggetto
anch’io, perché anch’io faccio parte del regno di questo mondo, anche se con l’esigenza di
smontarlo perché si adempia il regno fondato sulla verità che tutti sentono, nonostante
che essa sia deformata, avvilita, direi svergognata dalla verità pubblica. Dobbiamo esser
fedeli alla verità interiore perché è qui che si entra nel regno. Il regno di Gesù non ha
caratteristiche religiose, convenzionalmente parIando. Chi sono i cittadini di questo
regno? Tutti coloro che vengono dalla verità. Noi li vediamo ogni tanto, ma solo Dio li
vede tutti. Non ne possiamo fare l’anagrafe. Quando si conta, si sbaglia, perché contare
vuol dire obbedire ad una esigenza quantitativa, mentre la nostra esigenza è qualitativa.
Siamo tanti in tutti il mondo, siamo (per un momento, per necessità retorica mi ci metto
anch’io), siamo tanti a rendere testimonianza di questa verità nel mondo. Abitare in
questo regno vuol dire vivere in comunione con tutti i nostri concittadini, che sono quelli
che, invece, non hanno molta possibilità di essere accolti nel regno terreno, di cui sono
cittadini in senso anagrafico e pubblico: i vecchi, i malati, i bambini, gli inermi, gli
handicappati… E una compagnia non molto efficiente, ma l’efficienza è criterio del regno
di questo mondo. Il regno di cui Gesù dà testimonianza non è di questo mondo. La sua
diversità prende corpo e trova il suo luogo di sintesi storica e di riferimento operativo
nella pace. Questa è la pace. Una pace che pesi sulle spalle di qualcuno non è una pace,
una pace che comporti — per esempio — il proseguimento delle spese per mantenere
l’equilibrio e quindi affami mezzo mondo, non la chiamate pace. La pace implica tante
cose. Non è un passo opportunistico diverso dal passo opportunistico di ieri. C’è da
temere sia quando i titolari del potere si litigano sia quando si danno la mano. Non per
nulla Gesù fu crocifisso quando Pilato ed Erode fecero la pace su di Lui, sulle sue spalle.
Si riappacificarono perché avevano eliminato un disturbatore.
Se ci diamo la mano con la rivoltella in tasca e ci rispettiamo perché sappiamo di avere lo
stesso numero di pallottole, le parole più pure cadono in un contesto terribile. Questo è il
peccato. E la condizione che è nostro compito modificare, con pazienza di secoli magari.
La cittadinanza da cui siamo consolati è un’altra, quella del regno che non avrà mai fine
per i secoli eterni. Gli altri passano, cambiano titolari e finiranno, ma questo regno, di cui
ho parlato sulla falsariga della indicazione evangelica, è eterno ed è diffuso fra tutte le
genti.
Da “Il Vangelo della pace” vol.2 anno B