24 Febbraio 2019- SETTIMA DOMENICA TEMPO ORDINARIO – ANNO C
24 Febbraio 2019- SETTIMA DOMENICA TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Chiunque crede che mettere allo scoperto la violenza del mondo significa ispirare odio, sbaglia: la stessa accusa fu fatta a Gesù, che fu condannato a morte perché sobillava il popolo. La verità è che scoperchiava il volto violento del mondo, diceva «sepolcri imbiancati» ai detentori della moralità pubblica.
PRIMA LETTURA 1 Sam 26,2.7-9.12-13.22-23- SALMO 102- SECONDA LETTURA 1 Cor 15,45-49- VANGELO Lc 6,27-38
Ogni volta che mi avviene di confrontarmi con parole come queste che avete ascoltato, mi trovo in un profondo imbarazzo, che forse è anche il vostro. Da una parte, con tutta la mia anima, aderisco a queste parole: non solo perché sono parole che vengono da Gesù e hanno, quindi, l’autorità di Dio, ma perché –per una intuizione dello spirito – sento che sono vere. Dall’altra parte mi accorgo che nella società – e deve essere sempre tatato così – se i nemici vengono perdonati, i violenti vengono tollerati, se si dà, a chi ci ruba il mantello anche la tunica, la violenza straripa onnipotentve. Occorre porre un argine. Occorre, dunque, a livello politico, rispondere con gli strumenti con cui gli oppressori opprimono l’uomo. E allora ci troviamo lontani da questa parola. Ecco l’imbarazo morale, che non va sfuggito, ma va vissuto, cercando di scendere alle radici di questa contraddizione tra un postulato di giustizia che sembra portare lontano dall’amore e un postulto di amore che sembra portatci lotano dalla giustizia. Dico subito che ogni entativo di conciliare queste due tendenze è inutile e senza esito. La contraddizione che noi avvertiamo a livello della coscienza è una contraddizione che dobbiamo proiettare, secondo l’indicazione luminosa di Paolo nella lettera ai Corinzi, nel nostro stesso esere interni ad una storia. Prima c’è l’uomo animale e poi quello spirituale. Prima c’è l’uomo terreno e poi quello celeste, cioè quello futuro. Sappiamo chi è l’Adamo terreno: siamo noi. Noi viviamo dentro una logica carnale da cui non possiamo sottrarci in modo spiritualistico, come se questa storia non ci fosse. Dall’altra parte l’uomo spirituale, l’uomo nuovo che è il Cristo, noi nn possiamo rimandarlo al futuro: dobbiamo viverlo oggi, all’interno di questa nostra condizione. Ecco dov’è la contraddizione di fondo, a cui un cristiano, eludendo le astratte elucubrazioni morali, scende per misurarvi se stesso. E allora, forsr, una certa risposta a questa contraddizione, così sentita oggi, la possiamo trovare. Il tempo che stiamo vivendo è un tempo n cui la violenza assuma forme nuove, diventa una specie di processo endemico che avvelena i rapporti sociali (e anche quelli privati) e dà luogo a manifestazioni pubbliche in cui lo scatenamento della bestia che è l’uomo sembra senza confini e ci fa spavento. Il cristiano in quanto crede alla parola del Signore, si fa responsabil in modo particolare della voce della coscienza morale che è in tutti. E perciò, anche se la sconfitta della viopenza è il compito di tutti e non sua prerogativa, egli sa che la sua testimonianza della mitezza è decisiva per la sua autenticità di credente e per il suo servizio al mondo.La prima verità da ricordare è che siamo interni ad una storia di peccato e che la storia di peccato non si cancella semplicemente con una decisione soggettiva: ci siamo dentro. Fuori di noi l’avvertiamo in modo così scoperto, che non ho bisogno di insistere. Na il peccato è anche dentro di noi. Inseriti come siamo in un sistema di relazioni sociali, non basta che la nostra intenzione soggettiva sia pulita e pura perché pardiamo la complicità con la violenza. Basterebbe una breve analisi per dimostrare che anche chi si ritira nell’eremo contribuisce alla violenza collettiva sottraendosi allo sforzo collettivo di coloro che vogliono cambiare il mondo perché sia un mondo non violento. Non si esce dalla complicità. Per me questa è una certezza sempre più forte e sempre più riferibile alla Rivelazione Cristiana.Quando il Signore dice: «Voi tutti siete cattivi» vuol dire che noi tutti siamo radicati nel vecchio Adamo, che la storia consiste in questo tentativo di superare le pastoie del vecchio Adamo che sono in noi. Chi crede di esser puro è più in peccato perché vive con la coscienza falsa.Detto questo – ed ecco qual è la natura profetica dell’esistenza cristiana – noi affermiamo, con altrettanta sicurezza, che questa logica non è onnipotente, che questa legge del peccato è stata vinta e che a coloro che hanno buona volontà è concesso di vincerla. Vincerla, è vero, in modo incoattivo, parziale, per anticipazioni rapide, ma sufficienti ad allevare nel nostro cuore la speranza di unmondo nuvo, di un Regno di Dio in cui ogni violenza sarà finalmente abbattuta. Questo Regno viene verso di noi, è dentro di noi, germoglia fra i crepacci della violenza con una diversità meravigliosa! Noi dobbiamo allevare questa speranza, non coltivando illusioni, ma facendo forza sulla realtà.Quest’uomo nuovo di cui parla Paolo, questo nuovo Adamo, chi è? Per i credenti è Gesù Cristo. Egli è entrato nel mondo della violenza non già ratificandola ma scoperchiandola come mai nessuno ha fatto. Chiunque crede che mettere allo scoperto la violenza del mondo significa ispirare odio, sbaglia: la stessa accusa fu fatta a Gesù, che fu condannato a morte perché sobillava il popolo. La verità è che scoperchiava il volto violento del mondo, diceva «sepolcri imbiancati» ai detentori della moralità pubblica. La violenza lo ha tallonato fin dalla sua nascita. Lo abbiamo detto tentee volte ma non è mai sufficiente ricordarcelo. E nelmondo degli oppressi, dei depredati, delle vittime, Egli ha portato la luce della coscienza di sé. Il suo essere dalla parte delle vittime non è una forma di paternalistica pietà. Anzi, è virile solidarietà con gli oppressi ai quali viene data la coscienza della loro diversità. Essi devono mettersi in guardia dal fermento dei farisei. Gesù ha voluto liberare gli oppressi dall’immagine dell’oppressore che portano nella loro coscienza. Perché ogni vittima – si guardi bene dentro – è un oppressore potenziale. La terribile malizia della violenza è che contagia la coscienza delle vittime, le quali aspettano il momento per prendere il posto dei violenti. Questo contagio – e la storia ce lo mette sotto gli occhi – Gesù lo ha denunciato anche nei poveri. Ha detto: «Beati i poveri, beati i miti» non per conciliarli con la loro condizione, ma perché essi posseggono nel cuore – se hanno coscienza della promessa di Dio, e se non si lasciano contaminare dai fermenti dei violòenti – quel mondo nuovo a cui tutti gli uomini aspirano, Ed Egli ha vissuto in quel mondo futuro, tanto futuro che nessuno lo ha compreso. Durante la sua pasione (il Vangelo lo sottolinea) han gridato «Crocifiggilo». Perché un povero non è già libero perché è povero. È libero se non si concilia col mondo presente e se vuole un mondo che non si rassomiglia a quello dei suoi oppressori. La Croce è il fallimento della sua predicazione. Eppure Egli è l’uomo futuro. E la Resurrezione questo significa, anche: che Dio è dalla parte di quel fallimento e il futuro del mondo è dalla parte di quel fallimento. Allora amare non significa fare un esercizio di virtù private: significa custodire nel cuore il germe di un mondo diverso e presentarlo agli altri.
Ernesto Balducci – da: “Il mamdorlo e il fuoco “ – vol 3