22 Maggio 2022 – VI DOMENICA DI PASQUA – Anno C
22 Maggio 2022 – VI DOMENICA DI PASQUA – Anno C
PRIMA LETTURA: At 15,1-2.22-29 SALMO: 66, 2-3; 5; 6.8 SECONDA LETTURA: Ap 21,10-14.22-23
VANGELO: Gv 14,23-29
… Non esistono egemonie equilibrate, son finite per sempre. Finché la sorte del mondo era in rnano a due potenze l’una contro l’altra, capaci ciascuna di contenere il proprio universo, potevamo anche pensare che si potesse proseguire così: ma oggi quella bipolarità si e spezzata, nell’area della storia sono entrate forze diverse e irriducibili. L’equilibrio dei terrore non è più ricomponibile. Siamo dunque in un momento storico – avrebbero detto i Padri della chiesa in un kairòs, in un momento opportuno – per ripensare, in radice, il rapporto tra la pace del mondo e la pace che Gesù ci ha promesso, e a cui ogni uomo aspira. La creazione – come ci insegna anche Paolo nel grande capitolo della lettera ai Romani – ha in sé un anelito universale che il cristiano riconosce espresso nella Parola di Gesù. La pace cristiana non è una pace diversa da quella che l’uomo cerca, è semplicemente la pace dell’uomo, ma di un uomo che ha vinto in sé il principio opposto, quello del bellum omnium contra omnes, della guerra di tuttI contro tutti. E la grande alternativa morale che traspare con evidenza estrema nel Vangelo e nella stessa testimonianza di Gesù, l’Uomo non violento per eccellenza, l’Uomo di pace. Un Uomo di pace, per la verità, che proprio perché tale sconvolge il mondo. Amare la pace, non significa collegare l’uno all’altro i vertici della realtà in una specie di tessuto di superficie, lasciando alla base i conflitti irrisolti. Voler la pace significa attraversare le profondità delle radici delle cose e degli uomini e creare lì l’armonia profonda, in quel punto decisivo, dove attingono sempre le scelte personali e collettive. Allora il valore del Vangelo è di mettere in luce 1’altro volto dell’uomo: il volto dell’amore, dell’amicizia per l’uomo, dell’amicizia per la natura e dell’amicizia per Dio. L’aggressività, questo residuo della preistoria umana – e che invece fa ancora storia come vinta da un principio superiore che scaturisce dalla consapevolezza più profonda dello spirito umano in cui l’uomo vuol essere in pace con sé , con gli altri, con l’universo intero. Sbaglieremmo se accaparrassimo questa dinamica come se fosse nostra esclusiva: è dell’universo intero. Dobbiamo aprirci a queste aspirazioni di pace, perché esse sono per il Regno di Dio. Non Importa se sono nella chiesa o contro la chiesa e se la chiesa poi, a sua volta, non è sempre conforme a questo spirito di mitezza. Se ho detto che la nostra prospettiva è cosmica, se ho detto che il rapporto fra la coscienza del credente e le promesse di Dio passa direttamente negli spazi della storia – senza distinzione se è sacra o profana, perché tutta la storia e santa -, allora tutto il resto va commisurato a questo rapporto e giudicheremo senza riguardi e senza spirito di parte se uno è per la pace o no. La promessa dei Signore oggi acquista una densità particolare, non è più rimessa soltanto alle fruizioni interiori della coscienza, è invece il fondamento primo di un progetto di esistenza diverso. La pace che Egli ci dà è come l’obiettivo della storia. Una pace così compiuta – come ce la descrive il profeta nella «città santa» – non la raggiungeremo se non nell’èscaton, nel termine del compimento della storia che è nei segreto di Dio, sia nei tempi che nei modi. Ed ora scendiamo un attimo nei concreto storico. Questa pagina degli Atti degli Apostoli è singolare perché in essa gli stessi uomini che hanno ascoltato Parola di Gesù – «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» – vanno in una comunità di Antiochia e turbano con i loro discorsi gli animi, perché impongono una condizione: «se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, voi non potrete esser salvi». Potremmo, sintetizzando le suggestioni che ci vengono dalla Scrittura di oggi, prendere due valori, senz’altro positivi in sé considerati: il tempio – che scomparirà – e la legge giudaica, che io assumo qui., come termine simbolico per indicare le culture religiose o semplicemente antropologiche, in cui l’umanità, unica famiglia, si differenzia e a volte si contrappone. È importante decidere se la pace dell’umanità debba basarsi sul tempio, debba basarsi sulla legge, o debba basarsi soltanto sulla fede. Questo discorso che ai tempi di Lutero veniva utilizzato in una cornice culturale arcaica (e, tutto sommato non cristiana!) oggi lo possiamo recuperare in una nuova autenticità evangelica. Quando diciamo che ci si salva solo per la fede, noi non vogliamo certo sottintendere che dunque per quanto riguarda il resto siamo liberi di fare quel che si vuole. Vogliamo dire che non ci si salva per il tempio. La mediazione del tempio, dello spazio di comunione che una realtà sacra offre, non è di salvezza perché non garantisce la pace fra tutti gli uomini. Il pericolo religioso, oggi, è terribile. Si alzano da varie parti profeti che indicano nella pratica religiosa e nell’osservanza della regola del tempio l’unica condizione di pace universale. La loro fede diventa fanatismo e quindi una minaccia alla pace. Lo vediamo nel piccolo e lo vediamo nel grande. Anche noi cristiani abbiamo dei templi, degli spazi sacri; anzi abbiamo, con sottile e secolare diligenza, distinto il sacro e il profano in tutti gli aspetti della realtà sociale e cosmica. Abbiamo parlato di casta sacra, di uomo sacro, di ministero sacro e così via. Ecco, noi dobbiamo ricordarci che la fede non può che relativizzare queste distinzioni: essa ha come suo vero obiettivo il cosmo pacificato e unificato. E unificato in quel Dio che è Padre di tutti e che tutti avvia verso il compimento della Città Celeste. Questa relativizzazione delle diversità religiose è fondamentale. Non per nulla, negli anni in cui la crescita cristiana è stata più viva e consapevole, si è arrivati finalmente a riscoprire un’antica diversità che era rimasta occulta: quella fra la religione e la fede: la religione non salva, la religione è pericolosa perché divide gli uomini – e lo vediamo -, li divide in maniera sottile, perché li divide in nome di valori che incutono immediatamente rispetto: in nome di Dio e dei diritti di Dio, e della chiesa, e così via. La religione non salva. E non salva la cultura. Le diversità culturali e morali non salvano. La specificità della nostra morale occidentale – di cui non posso adesso tratteggiare analiticamente le caratteristiche – noi l’abbiamo posta come condizione di salvezza per tutti. Abbiamo imposto il nostro concetto di matrimonio, di moralità sessuale, di disciplina, di autorità, ovunque siano andati. Abbiamo imposto la circoncisione al mondo intero. Questa evangelizzazione non salva, non fa pace: fa guerra. E la fa: lo vediamo, lo abbiamo visto. Abbiamo perfino consacrato queste guerre, le abbiamo anzi registrate nei fasti del popolo di Dio. Abbiamo elevato templi e chiese in onore di stragi cristiane. Ora «è tempo che ci convertiamo». E ci convertiamo sostenendo che tutto è relativo ciò che appartiene alla storia dell’uomo, che di assoluto c’è soltanto quel valore ultimo che abbiamo rapidamente rievocato attraverso le immagini della profezia. La pace tra gli uomini si deve avverare eliminando in ciascuno di noi tutto ciò che mira a separarci dagli altri…
Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 3