22 Giugno 2014 – FESTA DEL “CORPUS DOMINI” – Anno A
22 Giugno 2014 – FESTA DEL “CORPUS DOMINI” – Anno A
La terra promessa non è un luogo della geografia, è un luogo del futuro collettivo del mondo, è l’unità del genere umano.
PRIMA LETTURA: Dt 8,2-3.14b-16° – SALMO: 147 – SECONDA LETTURA: 1Cor 10,16-17 – VANGELO: Gv 6,51-58
…L’eucarIstia non è un rito magico, è il segno che postula, esige, richiama una realtà concreta che siamo noi, che è la nostra storia. Se viviamo con questa partecipazione, non possiamo certo sentirci esenti dal pericolo – e i pericoli sono tanti. Quelli che sono qui vagamente accennati dalle pagine del Deuteronomio sono innanzi tutto la nostalgia di altri tempi: questo popolo di dura cervice resiste alla pedagogia di Dio, che usava strumenti forti e violenti – le prove, i cataclismi, la fame, la siccità – per mettere a prova il suo cuore. Noi rischiamo di rimpiangere, come quel popolo, tempi di tranquillità che, ora li vediamo bene, erano tempi di ingiustizia, di iniquità. Ogni unità del mondo che sia parziale, si mantiene pacifica attraverso le forme esplicite o surrettizie dello sfruttamento. Se una famiglia è pacifica e tranquilla perché ha un conto in banca, ha una pace abusiva, o tenuta su da un meccanismo di sfruttamento. Se qualcuno si scuote, là dove stanno le cariatidi della falsa pace, finisce la pace. Noi non possiamo chiamar pace una pace parziale: o è totale o non lo è. Non c’è un luogo del passato in cui possa posarsi la nostra memoria riconoscente e nostalgica. Dobbiamo guardare avanti, perché la pace è un nome al futuro. Non c’è mai stata nel passato e se c’era, era una pace amarissima, come dice il Profeta. Noi dobbiamo entrare in questa condizione del viaggio con profonda fede. La fede non ci mette al lato di questa condizione che vi ho rapidamente descritto, ci fa rimanere dentro. La terra promessa non è un luogo della geografia, è un luogo del futuro collettivo del mondo, è l’unità del genere umano. Questa Terra Promessa ci è stata promessa da Dio e noi ci nutriamo non soltanto dell’amaro pane delle nostre tribolazioni, ma di ogni parola che viene dalla bocca di Dio. Credo a questa unità del genere umano e alla possibilità i realizzarla, non perché i processi induttivi della mia ragione mi rendano certo – anzi, più si ragiona e più si è pessimisti, in un tempo come questo – ma perché la mia volontà fa fulcro sulla parola di Dio. Anche nei momenti notturni dell’esperienza devo essere certo che questa unità verrà, non per meccanica disposizione, ma attraverso l’impegno, cioè nella logica dell’alleanza, attraverso una reciprocità d’impegno tra il Dio che è immerso nella storia e l’uomo che ha risposto. L’io-tu, l’io umano e il tu di Dio sono stretti a una stessa responsabilità. L’onnipotenza di Dio non fa a meno di questa collaborazione dell’uomo, perché un’unità del genere umano prodotta, per ipotesi, dall’onnipotenza di Dio, non sarebbe un’unità umana, sarebbe un’unità svuotata di umanità. Tocca a noi costruire la nostra unità nel mondo. Ecco perché quando celebriamo, come stamani, il mistero del Corpo del Signore, noi non ci isoliamo, non ci sottraiamo, non creiamo l’isola delle pie menzogne e delle dolci consolazioni. Noi apriamo nel groviglio dei significati, che a volte ci danno smarrimento, la chiara geometria della volontà di Dio. Rievochiamo una promessa e ci impegniamo. Noi ricordiamo le opere di salvezza e ringraziamo Dio. Noi guardiamo il futuro e invece di lasciarci sbarrare gli occhi dalla frontiera dell’assurdo che spesso sembra pararsi dinanzi a noi, noi spalanchiamo anche quella frontiera perché sappiamo che Dio ci ha promesso questa unità: l’impossibile, quando è Dio che lo dice, diventa possibilità storica. È in questo modo che noi caliamo ciò che noi celebriamo dentro le traiettorie stesse del divenire del mondo, entriamo nel cuore del mondo.
Ernesto Balducci – da “Il Vangelo della pace” – vol. I – Anno A