21 Settembre 2014 – 25^ DOMENICA TEMPO ODINARIO- Anno A
21 Settembre 2014 – 25^ DOMENICA TEMPO ODINARIO- Anno A
Questa giustizia divina non ha qui i suoi tribunali, e pure ha qui i suoi tribunali, perché Dio non è un Dio solo al futuro, è presente e qualche volta lo sentiamo nella sua collera profonda.
PRIMA LETTURA: Is 55, 6-9- SALMO: 144- SECONDA LETTURA: Fil 1,20c-24.27°- VANGELO: Mt 20, 1-16
Appena scendiamo al di sotto dei pavimenti geometricamente disegnati dalle nostre progettazioni e scendiamo nel sottosuolo umano, abbiamo la percezione della stoltezza delle nostre sicurezze riguardo alla giustizia sia morale che sociale. Sentiamo allora che abbiamo bisogno di una giustizia più profonda. Quando Dio dice che la sua giustizia non è la nostra giustizia non intende squalificare la nostra giustizia come esigenza, come bisogno interiore, ma vuole risospingerci sulle nostre giustizie, quelle che abbiamo realizzato, perché ne scopriamo l’iniquità, la loro ingiustizia. E come quando un professore di scuola fa il suo scrutinio di fine anno e mette i suoi otto, i nove, i dieci, i quattro, e i tre e se ne va a casa tranquillo, sicuro di aver fatto il suo dovere. Gli resterebbe da fare il più, di capire cioè perché il meno capace è rimasto emarginato, che cosa c'è nella impotenza di un bambino, un difetto di doti naturali o una storia personale di sofferenze e di insufficienti affetti. La nostra divisione dei ruoli nella società ci fa passeggiare con le infule della giustizia e abbiamo le mani piene di ingiustizia. Ho preso il caso più comune ma. ovunque io volgo sguardo mi accorgo che gli uomini sicuri di far giustizia, sono più nefasti di quelli sicuri di parlare in nome di Dio. Dobbiamo ripiegarci sulle nostre giustizie, per scoprire che esse sono, magari, sistemazioni ideologicamente coerenti, ma hanno un vizio di radice esprimono sempre l'esigenza del dominio dell'uomo sull'uomo. Riconoscere che c'è una giustizia di Dio mi riempie il cuore di commozione e di consolazione, perché penso sempre, per una specie di meccanismo immaginativo ormai consolidato, a tutte le turbe di persone passate nel mondo come vittime che non hanno nemmeno un fiore al cimitero, nemmeno il nome in una pietra: le sterminate moltitudini schiacciate da una miseria – dovuta evidentemente all' opulenza degli opulenti – su cui non si è sparsa una lacrima. lo penso con gioia a questa giustizia di Dio: i conti della vita sono scritti in un libro sigillato con sette sigilli che sarà dissigillato alla fine dei tempi. Allora ciascuno avrà il suo. Quella giustizia coincide con la nostra? Affatto! Ci abbraccia tutti una giustizia che consolerà soprattutto le vittime, i peccatori, le meretrici, i pubblicani come disse il Signore. Spesso nel vizio di una persona si scaricano iniquità che hanno le loro sorgenti nelle zone della virtù collaudata e proclamata. Sentir questo non vuol dire fare di ogni erba un fascio, vuol dire riconquistare il senso del relativo. Dobbiamo pur usare gli strumenti della giustizia che abbiamo in mano: è la nostra fatica storica. Ma la nostra coscienza non è dentro quelle misure, le sovrasta e mentre le applica ne sente il peso insopportabile. Allora noi abbracciamo con un amore di giustizia, che in qualche modo è speculare nei confronti dell' inconoscibile giustizia di Dio, tutte le creature e soprattutto gli ultimi che se sono ultimi è anche perché ci sono troppi che primeggiano e che han bisogno di farsi la strada a colpi di gomito, che disseminano nel sentiero le vittime della loro prepotenza vittoriosa. Questa giustizia divina non ha qui i suoi tribunali, e pure ha qui i suoi tribunali, perché Dio non è un Dio solo al futuro, è presente e qualche volta lo sentiamo nella sua collera profonda. Se ne abbiamo il sentimento, camminiamo nel mondo senza l'occhio del fariseo che distingue se stesso dal pubblicano, senza l'occhio della donna virtuosa che distingue se stessa dalla meretrice, senza l'occhio cattivo che ha bisogno di specchiarsi negativamente nel male altrui per la soddisfazione di sé. Tutto questo è colpito in radice dal discorso evangelico: se ce ne lasciamo ispirare la nostra esperienza ritrova il suo flusso, la sua dinamica, il suo movimento e soprattutto si diffonde attorno a noi non già la durezza delle verità del pensiero umano e della giustizia dell'uomo, ma l'ansiosa ricerca di un mondo diverso da questo in cui gli ultimi diventino finalmente primi e i primi diventino finalmente ultimi. E verso quel mondo che noi camminiamo.
Ernesto Balducci – da : “Il Vangelo della pace” – vol. 1