21 Gennaio 2018 – 3^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B
21 Gennaio 2018 – 3^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B
Ora sappiamo quello che le vecchie generazioni non sapevano: se noi crediamo di affermare la pace attraverso la violenza non ci riusciamo perché muoiono le cose. Ora sta morendo il mare. Chissà quante cose moriranno!
PRIMA LETTURA: Gio 3, 1-5. 10- SALMO: 24/25- SECONDA LETTURA: 1 Cor 7, 29-31- VANGELO: Mc 1, 14-20
Io sono convinto che viviamo nei tempi in cui la parola di Dio arriva da due sorgenti che un tempo sembravano senza relazioni fra di loro. La prima sorgente è la coscienza dell'uomo, la quale ha in sé una verità antica come le montagne, occultata da strati di cultura feroce e la verità antica come le montagne è questa: non uccidere, non fare violenza. E una verità così profonda che sembra non vera, perché deve attraversare mille strati di distinguo e di sottigliezze inventate dalla nostra civiltà violenta. Questa però è la verità. «Io ho messo davanti a te – questa è la formula del Deuteronomio – la vita e la morte. Secondo che tu sceglierai così avverrà». È la grande verità che però sembra urtare contro l'altra verità, quella che un grande fiorentino chiamò la 'verità effettuale', quella del realismo secondo cui ci vuole la violenza per respingere la violenza. Questa verità profonda oggi trova un riscontro perentorio nella verità effettuale, nei fatti. Ora sappiamo quello che le vecchie generazioni non sapevano: se noi crediamo di affermare la pace attraverso la violenza non ci riusciamo perché muoiono le cose. Ora sta morendo il mare. Chissà quante cose moriranno! Noi dobbiamo capire una verità che è predicata non dalla coscienza ma dalle pietre. Il grande evento storico è che la coscienza e le pietre si sono incontrate. Non è un evento così chiaro che travolge i parlamenti, però è un evento che sta arrivando alle coscienze. È questo un dato di fatto, fra tante ragioni di pessimismo, che dobbiamo afferrare. Le coscienze si stanno muovendo dovunque ma è difficile per queste coscienze, come per Giona, stare a predicare la conversione. È difficile non è cosa scontata, perché in apparenza la loro è una parola innocentissima – 'No alla guerra, no alla violenza' – però in queste situazioni è una parola sovversiva, esecrabile, disfattista. Ecco perché non va bene per i profeti, in questo tempo. Quando parlo di profeti non voglio alludere a figure singole perché ogni coscienza è profetica quando stabilisce quella specie di coniugazione con le pietre, con la verità che sale dalle cose. Prima tutto era a favore di chi sosteneva che se vuoi la pace prepara la guerra. Questa era la verità, come contestarla? Viviamo in un mondo strutturalmente diviso. Se gli altri piangevano noi godevamo; la tua morte era la mia vita, io distruggo te e mi allargo – questa era la verità effettuale – oggi non è più così. Tutto è così legato che anche se la guerra è lontana perfino i mercatini della lontana sponda dell'Europa del Nord ne risentono. Siamo una sola città, lo vogliamo o no comprendere. Essere profeti vuol dire gridare. Quanto è bello vedere che sempre più numerosi sono coloro che lo gridano, incontrando certamente disprezzo, dileggio, criminalizzazione anche. Questo però deve avvenire senza ambiguità, cioè con fedeltà alla verità. Non dobbiamo dimenticarci che la tragedia in cui siamo è dovuta alla prepotenza, alla prevaricazione, allo spregio di ogni diritto umano da parte di un potente. Questo non dobbiamo nasconderlo e spesso si rischia di nasconderlo. Un profeta amante della verità non deve però nascondere il tutto, deve affermare che per smontare questa prepotenza non ci vuole la violenza. Tutte le vie vanno seguite tranne quella, perché nella violenza entriamo in una spirale che è mortale per tutti. A me piace chiamare questa coscienza profetica, con un linguaggio più partecipabile perché laico, 'coscienza cosmopotitica', cioè una coscienza che fa sua consegna la premura- per il mondo intero come tale. Ecco allora le parole di Paolo che per noi acquistano un senso straordinario: «Il tempo è breve, quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero,…». Io continuo: quelli che sono italiani vivano come se non fossero italiani, quelli che sono nel blocco di qua vivano come se non fossero di nessun blocco perché il tempo è breve e questo tempo breve ci unisce tutti in una stessa sorte. Ogni uomo è fratello all'uomo, di qualunque razza e religione. Anche il popolo di cui in questo momento siamo nemici armati è un popolo di nostri fratelli e noi non dobbiamo volere lo sterminio di nessuno. Se muore un bambino non domandiamoci di che parte è, è l'uomo che muore. Voi direte: questa è utopia. No, è realismo…
Ernesto Balducci – Dalle omelie inedite – anno B